Wen
Cami
Alzai gli occhi al cielo per il soprannome, presi la sua grande mano sulla spalla e me la scrollai di dosso. Mi girai e sfoggiai un sorriso dolce.
"Una cosa è certa, di certo non mi chiamo bel sorriso", replicai, lasciandolo a fissarmi per qualche secondo.
Merda. Non avrei dovuto rispondergli male già dal primo giorno.
Prima che potessi scusarmi per la mia maleducazione, Luke scoppiò a ridere. Confusa, lo osservai puntarmi un dito contro.
"Tu", iniziò, indicandomi. "Sei proprio forte. Benvenuta nella famiglia...?" Concluse, in attesa.
"Camila. Camila Wilson", mi presentai, guardando Luke per vedere se avrebbe reagito in modo strano.
"Wilson?" Chiese lui, con il volto pieno di curiosità.
"Ehm... Sì?" L'incertezza mi avvolse.
Luke rimase in silenzio per un minuto intero, finché una consapevolezza si materializzò sul suo volto confuso.
"Porca puttana! Mimi, sei tu?" Quasi urlò, mentre io spalancavo gli occhi, sorpresa dal sentire il soprannome che aveva pronunciato.
"Come fai a sapere quel soprannome? Chi sei tu?"
"Merda! Mimi, sono io, Luki..." Rispose, con un grande sorriso che faceva risaltare la sua bellezza.
"Luki...? Come il fratello diabolicamente bello di Thor?"
Risi della mia stessa battuta, ma poi ricordai...
Luki? Conoscevo un solo Luki. Era il mio migliore amico d'infanzia.
Era un ragazzino paffuto che dovevo sempre proteggere dai bulli. Anche se a quel tempo avevo altri amici, mi piaceva la sua compagnia ed eravamo praticamente inseparabili.
Fummo amici fino alle elementari, ma purtroppo la sua famiglia si trasferì negli Stati Uniti e io, invece, rimasi nel Regno Unito, il paese di cui era originaria mia madre.
"Oh, mio Dio. Non è possibile".
Come se mi avessero gettato un secchio d'acqua gelida addosso, la consapevolezza mi colpì mentre fissavo l'uomo sorridente di fronte a me.
"Luki? Come Lucas Crawford?"
"Il solo e unico! Sapevo che quelle fossette mi erano familiari. Sei proprio cresciuta, Mimi", commentò, facendo scorrere gli occhi su tutto il mio corpo.
Gemetti al soprannome e lui rise. Lui e mia madre erano gli unici a saperlo ed erano anni che non sentivo qualcuno chiamarmi così.
"Io? Ma guardati, Luki. Non sei più il bambino paffuto con cui giocavo sempre", risposi, osservando il suo corpo muscoloso e altissimo.
"Beh, sì... siamo cresciuti tutti e due, eh?" Ribatté lui con tono provocatorio, mentre si grattava la nuca con timidezza. Sembrava arrossito.
"Credo di sì". Sorrisi.
Passammo un'ora a ripassare le basi e il funzionamento del bar.
Quindi ci aggiornammo sugli anni che ci eravamo persi. Mi confessò che trasferirsi dal Regno Unito era stato piuttosto difficile. Tutti lo prendevano in giro per il suo peso.
Non aveva amici, così aveva sviluppato l'hobby della cucina e aveva capito di voler diventare uno chef.
L'ora di pranzo era vicina e presto la cucina si sarebbe riempita, quindi dovemmo salutarci.
Spinsi le porte a battente e vidi Esme seduta nel cubicolo più lontano con un uomo. Potevo vederlo solo di spalle, ma, dal vestito costoso che portava, immaginavo che fosse qualcuno di importante.
Esme attirò la mia attenzione e io le feci un cenno di saluto. Mentre uscivo, Aya mi raggiunse con un grande sorriso sulle labbra.
"Allora...? Com'è andata?" Chiese.
"Abbastanza bene. Inizierò lunedì", risposi, sorridendo.
"È fantastico!" Strillò lei, entusiasta. "Oh, mi scuso per la bravata di prima, è una cosa che facciamo qui alle nuove reclute, che già di per sé non sono molte".
"Ma te la sei cavata alla grande. Benvenuta nel FabFam!" Strillò ancora una volta, dandomi un rapido abbraccio.
"FabFam?" Chiesi io.
"Sì, la Famiglia di Fabiola, FabFam in breve".
Ridacchiai per il soprannome. La nostra conversazione fu interrotta dall'arrivo di un cliente e Aya dovette occuparsi di lui. Io le feci un cenno e uscii dal bar.
Fui subito accolta da una brezza fredda, così mi strinsi nel mio cappotto. Attesi che arrivasse un taxi, finché non sentii una risata familiare.
Girai subito la testa verso la fonte di quella voce. Ma certo, a pochi edifici di distanza c'era una coppia che rideva ad alta voce.
Uno dei due era il mio ex e con lui c'era la fastidiosa e bellissima ragazza modello con cui l'avevo visto la prima volta.
Non ero assolutamente in grado di affrontare un confronto in quel momento, così feci l'unica cosa che potevo fare in quel momento. Mi nascosi.
Notando un vicoletto al lato del caffè, entrai subito nella sua ombra e aspettai che i due passassero.
Il mio cuore minacciava di uscire dal petto, mentre mi coprivo la bocca per evitare di emettere qualsiasi suono che potesse rivelare il mio nascondiglio.
Le loro voci si stavano avvicinando e io sapevo di dover rimanere immobile. Quando, finalmente, superarono il vicolo in cui mi trovavo, riuscii a scorgere il volto di Chad.
Sembrava felice. Agli angoli dei suoi occhi c'erano rughette ben visibili, segno evidente che era davvero felice.
Volevo maledirmi per la tristezza che provavo per la mia situazione e per l'innegabile tensione che il mio cuore provava in quel momento.
Nuove lacrime minacciavano di uscire, ma io mi imposi di non piangere. Non volevo che si ripetesse l'ultima scena che avevo vissuto in mezzo alla strada.
Una volta sicura che fossero il più lontano possibile, lasciai andare un respiro che non sapevo di aver trattenuto.
Mi accovacciai sulle ginocchia e presi a contare. Chiusi gli occhi e ripetei nella mia mente i numeri fino a dieci, per cercare di regolare il mio battito cardiaco impazzito.
Uno... due... tre... quattro...
"Stai bene?" Una mano si posò sulla mia spalla e io strillai per l'improvviso contatto.
Mi girai, stringendomi il petto mentre i miei occhi si spalancavano alla vista dell'intruso. La sua reazione rispecchiò la mia, ma lui fu veloce a riprendersi.
Anche se non abbastanza da evitare che la mia mano agitata lo colpisse dritto sul naso.
"Tu", pronunciò, con la voce attutita dalle dita sul suo viso.
"Io?" Finsi di essere innocente.
"Sì, tu", ripeté, colmando la distanza che ci divideva.
La sua vicinanza aveva effetto sul mio corpo e sapevo che le mie guance erano più rosse di un pomodoro.
"Non hai qualcosa da dirmi, Camila?" Sussurrò al mio orecchio e io non riuscii a trattenere il brivido istintivo che mi percorse il corpo quando pronunciò il mio nome.
"Ehm... Ehm. Devo restituirti la camicia?" Offrii.
Fissai i suoi occhi e il lampo che vi balenò. Nick si allontanò da me e rise, passandosi una mano tra i capelli.
Ne approfittai per ammirare l'uomo che avevo davanti. Non indossava la giacca di pelle e i jeans, ma un completo da lavoro che gli donava in modo impeccabile.
Anche se si scompigliava i capelli con le mani, aveva un aspetto persino più sexy.
Ero così impegnata ad ammirarlo che non colsi quello che stava dicendo.
"Puoi ripetere?" Dissi, con imbarazzo.
Lui mi sorrise mentre ripeteva le stesse parole. "Cosa ci fa una ragazza come te in un posto come questo?"
"Potrei chiederti la stessa cosa".
"Perché non puoi rispondere alle mie domande e basta? L'hai detto anche la prima volta che ci siamo incontrati", ribatté, con un luccichio di provocazione negli occhi.
"Perché, per quanto mi riguarda, sei praticamente un estraneo per me e non ti devo nessuna risposta".
"Un estraneo? Giusto, al giorno d'oggi la gente va a letto con gli sconosciuti", replicò Nick.
"Cosa? Hai detto che non è successo nulla tra noi!" Strillai, un po' troppo forte.
"Beh, abbiamo dormito insieme. Nel senso di dormire, Cami".
Tirai un sospiro di sollievo e mi raddrizzai.
"Per quanto sia divertente parlare con te", iniziai, mentre lui sollevava un sopracciglio, "devo proprio andare. Ti restituirò la camicia e ti ripagherò dei danni alla moquette".
Avrei preferito non trovarmi in questa situazione.
"Non preoccuparti di nulla. Per quanto riguarda la camicia, puoi tenerla. Ti stava bene", rispose lui, con un sorriso stuzzicante.
Prima che potessi rispondere, il suo telefono squillò forte. Nick emise un grugnito e prese il telefono dalla tasca dei pantaloni, quindi mi fece segno di aspettare un attimo.
Alzai gli occhi al cielo.
Chi è lui per darmi ordini?
Nick si girò di spalle e si allontanò di qualche passo da me, occupandosi della sua telefonata. Così ne approfittai per sgattaiolare via.
Quando finalmente fui fuori dal vicolo e in procinto di voltarmi, una voce mi fermò.
"Cami?"
Mi girai di scatto verso la fonte del rumore e, ma certo, Chad e la sua amichetta erano seduti a uno dei tavolini con ombrellone del locale.
"Oh, ciao, Chad!" Risposi, un po' troppo allegramente. In realtà volevo sbattere la testa sulla mini recinzione di metallo che circondava la pasticceria.
"Cosa ci fai qui? Sei appena uscita da...?" iniziò, con gli occhi puntati sul vicolo.
Fantastico.
Adesso sembrava che li stessi pedinando, visto che ero nascosta vicino al loro tavolo.
Questa giornata non potrebbe peggiorare.
"Io..."
Il mio cervello non riusciva a trovare una scusa che mi salvasse da quell'incontro imbarazzante. Ben presto, però, Nick uscì fuori di corsa e i nostri sguardi si incontrarono.
"Pensavo fossi scappata di nuovo", scherzò, senza accorgersi della situazione in cui mi trovavo.
Quando Chad notò Nick, i suoi occhi si spalancarono. Si alzò dalla sedia e lo stesso fece la ragazza. Ero confusa. Chad stava per parlare.
"Signor..."
"Oh, signor Dickson. Presumo che sia la sua pausa pranzo". Disse Nick, in modo formale. Le mie sopracciglia si inarcarono ancora.
Il comportamento di Nick era del tutto diverso. Aveva un'aria così guardinga e formale. E, soprattutto, come facevano a conoscersi?
"Ehm... Sì, signore".
Incerta, puntai il dito su entrambi.
"Voi due vi conoscete?" Chiesi, trovando finalmente la voce per parlare.
"Certo. Ma, soprattutto, come fai a conoscerlo tu, Cami?" Chiese Chad, con tono accusatorio, e rabbia pura prese a ribollire nelle vene.
"Credo che questo non la riguardi, signor Dickson", rispose Nick, prendendomi bruscamente la mano e dirigendosi nella direzione opposta.
Guardai di nuovo Chad, che mi stava fissando. Per cosa? Non lo sapevo. Ma una cosa era certa: ero io quella che doveva essere arrabbiata con lui.
Girammo l'angolo e Nick, finalmente, si fermò. La mia mano era ancora nella sua.
Quando se ne accorse, la lasciò andare con la stessa velocità con cui l'aveva presa. Non sapevo se sentirmi offesa o triste per la mancanza di contatto.
"Ti dispiace spiegarmi come fai a conoscere Chad?" Chiesi.
"Potrei chiederti la stessa cosa", rispose lui, imitandomi.
Alzai gli occhi al cielo, ma stavolta dovevo rispondere per forza. Ero davvero curiosa di sapere come si conoscessero.
"È il mio ex ragazzo".
"Ex?" Domandò lui, sorpreso che gli avessi risposto.
"Sì... E immagino che la bella ragazza accanto a lui sia quella con cui mi ha tradito".
Non sapevo cosa mi spingesse a essere sincera, ma sentivo che, se avessi tenuto tutto dentro, avrei avuto un esaurimento nervoso ben peggiore del primo.
"Non è poi così bella. Il signor Dickson è uno che lavora con me, così come la ragazza", rispose Nick.
"Oh..."
"Già", continuò, ma un'altra telefonata interruppe il nostro momento.
Rimasi sorpresa quando rispose alla chiamata e, allo stesso tempo, prese anche la mia mano.
I miei occhi si spalancarono e cercai di allontanarmi, ma la sua presa era salda. Finì la telefonata in un attimo e mi affrontò di nuovo.
"Devo andare, ma sono sicuro che questa non sarà l'ultima volta che ti vedrò".
Quindi si portò la mia mano alle labbra e la baciò.
"Se pensavi che lei fosse quella bella, ti sbagliavi. Sei tu la definizione di bellezza, Camila", concluse, facendomi l'occhiolino.
Rimasi pietrificata sul mio posto, finché un'auto nera non si fermò davanti a noi.
Nick aprì la portiera ed entrò. Non potevo far altro che rimanere bloccata lì, con ancora il formicolio del suo bacio sulla mia mano.
Che diavolo è successo?