
"Su o giù?" Mi chinai davanti alla telecamera in modo che Maisy potesse vedere meglio i miei capelli.
Mi tolsi il fermaglio dai capelli e me lo misi in borsa. Se avessi cambiato idea, avrei sempre potuto risistemarmi i capelli all'ultimo momento. Per adesso avevo deciso di avere un aspetto più autentico.
Feci un passo indietro per poter ricontrollare il mio abbigliamento allo specchio. Avevo scelto una camicetta di seta blu reale infilata in una gonna a matita a vita alta, e avevo sostituito i miei fidati stivali da combattimento con stivaletti dal tacco grosso.
"Stai benissimo!" Sentii dire Maisy dal microfono del mio portatile.
Mi voltai per guardarmi di profilo. "Decente, vero? Anche le scarpe vanno bene, no?" Piegai il ginocchio e calciai lo stivale contro il sedere, in modo che lo potesse vedere.
"Sì! Perfetto!" Applaudì lei eccitata.
Le sorrisi e tornai a sedermi alla scrivania. "Grazie per essermi accanto. Lo apprezzo molto".
Guardai l'orologio. "Va bene, adesso devo andare!"
Sorrise. "Ce la farai! Sarebbero dei pazzi a non assumerti. Trovati un nuovo lavoro, amica mia. E guadagna un sacco di soldi, così potrai venire a trovarmi!"
Promisi di mandarle un messaggio e riattaccai. Presi il cappotto e uscii.
Più mi avvicinavo all'edificio Brentstone e più mi sentivo nervosa. Parcheggiai l'auto al piano terra e attraversai le porte scorrevoli per entrare nell'edificio.
Mi ritrovai in un atrio ampio e luminoso, con pavimenti in marmo bianco che sembravano trasformarsi senza soluzione di continuità in pareti luccicanti.
Tutto sembrava incredibilmente pulito e brillante. Mi chiesi se avessero degli addetti alle pulizie 24 ore su 24 per lucidare le superfici ogni volta che qualcuno le toccava.
Dall'altra parte dell'ampio spazio aperto, vidi quello che sembrava essere il banco della reception. Mi ci diressi, con i tacchi che battevano sul pavimento, riecheggiando in una maniera così fastidiosa da farmi venire voglia di sparire.
La signorina alla reception mi salutò gentilmente e mi diede le indicazioni per raggiungere l'ufficio dell'editoria, così mi voltai e mi incamminai verso gli ascensori, maledicendo ancora una volta i tacchi.
Al dodicesimo piano, un'altra donna mi condusse in un ufficio fatto per lo più di vetro con una vista incredibile sul porto. C'era una sottile scrivania bianca dotata di un grande iMac e di un ampio spazio di lavoro.
"La lascio accomodare. Posso portarle qualcosa da bere?"
"Dell'acqua andrebbe benissimo, grazie". Mi sedetti di fronte al computer e tirai fuori dalla borsa uno specchietto tascabile, per controllarmi rapidamente il viso e i denti.
La signora tornò dopo pochi istanti con la mia acqua. Mi guardò e aggrottò le sopracciglia, confusa.
"C'è qualcosa che non va?" Chiesi.
"Forse preferisce sedersi lì?" E mi indicò la poltrona di fronte al computer.
"Non è qui che avverrà il colloquio di lavoro?"
Dovetti trattenermi fisicamente dallo scoppiare a ridere. "Cosa, scusi?"
La donna si guardò alle spalle in direzione della sua scrivania, evidentemente già stufa della nostra conversazione. "Sì... Manderò qualcuno a mostrarle il resto del piano".
E uscì.
Proprio quando mi alzai per dare un'occhiata all'ufficio, una giovane ragazza con un taglio pixie spuntò da dietro l'angolo.
"Ava?"
"Eh, sì". Le strinsi la mano tesa.
"Mi chiamo Ella. Sono qui per farti fare un giro".
"Scusa... In realtà io non ho ancora fatto il colloquio… Tutti si comportano come se avessi già ottenuto il posto".
Sbattei le palpebre un paio di volte, elaborando l'informazione. Volevo quel posto, giusto? Certo che lo volevo. E con forza. Perché allora mi sembrava di barare?
"Ma non ho ancora firmato nulla. Inoltre non ho neppure lasciato il mio attuale lavoro!"
Ella fece una smorfia. "Beh, è meglio che te ne occupi in fretta, allora.
"Abbiamo un sacco di scadenze e le vacanze si stanno avvicinando, il che significa che molte persone saranno via per un po'. E mi farebbe comodo una mano in più, con tutti i progetti che abbiamo in corso al momento".
Fece un gesto verso un altro ufficio di vetro dall'altra parte della stanza. "È lì che si trovano le risorse umane. Esamineranno il tuo contratto e si occuperanno di tutte le faccende burocratiche. Il tour finirà lì. Nel frattempo però verrai con me per le cose divertenti!"
Ella fu come una boccata d'aria fresca. Con la sua energia quasi infantile e la sua positività apparentemente infinita, mi mostrò tutti i diversi reparti della casa editrice, ognuno in un ufficio di vetro.
C'erano anche alcune sale conferenze e alcuni "gruppi di riflessione", come li chiamava lei. Le pareti di vetro erano piene di immagini, cartelloni e appunti scarabocchiati.
Il solo fatto di passeggiare per quegli spazi mi fece vibrare di eccitazione.
Infine mi mostrò la "stazione d'idratazione", che consisteva in un'ampia area per il caffè e il tè, un bar per i succhi di frutta, e alcuni distributori d'acqua fresca.
Accanto, c'era una piccola area di ristoro, con vari tipi di cibo. Non riuscivo a credere ai miei occhi: ero così abituata alla Porthouse e al suo unico distributore automatico troppo costoso!
Di fronte all'area per il cibo e le bevande c'era una lunga parete a specchio, praticamente l'unica senza il vetro trasparente.
Apprezzai l'opportunità di ricontrollare il mio abbigliamento mentre ci passavamo davanti. Alla fine Ella mi lasciò all'entrata dell'ufficio risorse umane.
"Vai a firmare quel contratto e poi vieni a darmi una mano! Tutti gli altri creativi sono maschi, e ho un disperato bisogno di un'altra ragazza, per bilanciare il testosterone!"
Bussai alla porta a vetri che Ella mi aveva appena fatto passare e, prima di rendermene conto, mi trovai a sostenere un colloquio di assunzione e a firmare un contratto.
Stavo per entrarci quando qualcosa alla mia destra attirò la mia attenzione.
Era un uomo eccezionalmente alto, vestito in modo impeccabile, con un abito grigio scuro firmato e una cravatta verde salvia. I suoi capelli leggermente arruffati e le sue sopracciglia scure mi fecero trattenere il fiato in gola.
Attraversò la stanza e si diresse verso la parete a specchio, dove entrò. Era l'unico ufficio che non mi era stato mostrato, e che non mi era stato nemmeno menzionato, durante la mia visita.
Decisi di andare a parlarci: doveva essere lui il responsabile di quell'incredibile opportunità di lavoro, giusto?
Sentivo che stavo iniziando a perdere il controllo, quando un leggero ronzio nella mia borsa mi fece desistere. Era Maisy, che mi controllava.
Riposi furtivamente il cellulare nella borsa, non sapendo quali fossero le regole sull'usare il telefono per ragioni personali sul lavoro, e prima di cambiare idea mi diressi verso l'ufficio in cui avevo visto entrare Cyrus.
Bussai alla porta, che era chiusa - probabilmente l'unica che avevo visto chiusa fino a quel momento, ora che ci pensavo, e l'unica che non fosse di vetro.
"Sì?" Sentii la sua voce bassa dire dall'interno, e aprii nervosamente la porta. Cyrus mi guardò per un istante e poi tornò a occuparsi dei documenti sulla sua scrivania. "Come posso aiutarti?"
"Io... Sono io". Sentii le guance scaldarsi per l'imbarazzo. "Volevo solo ringraziarti per avermi procurato questo lavoro".
"E che lavoro sarebbe?" Sembrava annoiato.
"Eh, nelle illustrazioni, credo?" Mi resi conto in quel momento che non avevo chiesto a nessuno quale sarebbe stato il mio titolo di lavoro ufficiale.
Cyrus alzò lo sguardo su di me. "È tutto?"
Abbassai lo sguardo, sentendomi incredibilmente stupida. "Sì, immagino. Grazie per il tuo tempo e scusa per il disturbo".
"Chiudi la porta quando esci".
Tornai nel mio ufficio, ma prima che potessi entrare, Ella spuntò di nuovo.
"Cosa ci facevi nell'ufficio del signor Brentstone?" La sua voce era piena di curiosità e stupore.
Mi voltai a guardarla, quasi procurandomi un colpo di frusta.
"Signor Brentstone?!"