
Il capo prende moglie - Libro 1
"Se vuoi tenerti il lavoro e salvare gli altri, ho una proposta che farà comodo a entrambi", disse, sovrastandola con la sua imponente presenza.
Gabriel Maestri è ricco, spietato e terrificante nella sua inavvicinabilità: il tipo d’uomo di cui si parla solo con un brivido di paura. Lo chiamano il Demone d’Italia e lui non fa nulla per smentirlo. Paige Mosley è tutto ciò che lui non è: gentile, innocente e decisa a salvare il suo lavoro e quello degli altri quando viene a sapere che l’hotel rischia la chiusura. Il suo piano? Stringere un patto con il diavolo in persona. Ma i giochi di potere hanno un prezzo e i sentimenti non facevano parte dell’accordo. Mentre la freddezza di Gabriel inizia a incrinarsi, Paige si chiede: riuscirà a sciogliere il cuore di un uomo che sostiene di non averne uno? O perderà se stessa provandoci?
Capitolo 1
Gabriel Maestri era cresciuto in Italia con i genitori, Sergio e Kaia. Suo padre era il tipo di uomo che pretendeva il massimo da tutti, specialmente dal figlio.
Credeva che mostrare affetto, persino in famiglia, fosse segno di debolezza e quindi non lo tollerava in alcun modo. Fin da piccolo, a Gabriel fu insegnato a diventare l'uomo di successo, intelligente e duro che suo padre desiderava.
Per Sergio, l'amore era una debolezza e le donne servivano solo per il piacere. Una moglie serviva solo per le apparenze, un'amante per divertirsi.
Per dieci anni, cercò di far sposare al figlio una donna ricca. La madre di Gabriel, Kaia, non era molto diversa dal marito.
Era fredda e non mostrava mai affetto. Gabriel crebbe principalmente con le tate fino a quando non fu grande abbastanza da andare in collegio. Iniziò a costruire il suo impero con l'aiuto del padre, per poi ripagarlo con gli interessi.
Si costruì una casa il più lontano possibile dai genitori. Non festeggiavano mai insieme le ricorrenze e si incontravano solo di rado.
Paige Mosley era una ragazza dai bisogni semplici. Orfana fin dalla nascita, era passata da una famiglia affidataria all'altra finché non aveva raggiunto un’età sufficiente per cavarsela da sola.
Non si era mai integrata, con i suoi lineamenti delicati e i capelli di un biondo quasi bianco. A sedici anni iniziò a lavorare; fece la cameriera, la babysitter e altri lavoretti, e la sera studiava.
A diciotto anni trovò un lavoro a tempo pieno come cameriera al Maestri Hotel di New York. Ormai erano tre anni che lavorava là e aveva fatto amicizia con gli altri dipendenti.
Erano diventati come una famiglia. Ma quando si seppe che l'hotel avrebbe chiuso, un senso di disperazione aveva investito l’intero staff.
Molti dei dipendenti erano anziani, altri erano giovani senza istruzione, e sarebbe stato difficile per loro trovare un nuovo impiego. Non erano pagati molto; dipendevano soprattutto dalle mance.
Quando si sparse la voce che il proprietario sarebbe andato a ispezionare l'hotel per vedere quali lavori sarebbe stato necessario fare prima di venderlo, il personale andò nel panico. Quello era l'unico hotel del signor Maestri che era stato trascurato per anni. Necessitava di molti lavori, come nuovi tappeti, mobili e una riverniciata.
Pur essendo sempre ben pulito, aveva un aspetto ormai datato. I lavoratori si riunirono per parlare, cercando di pensare a un modo per convincere il proprietario a tenere aperto l'hotel e permettere loro di mantenere il lavoro.
Paige e alcune altre cameriere pulirono a fondo la suite migliore dell'hotel. Tutto era pronto per il suo arrivo.
Il bar nella stanza era rifornito dei suoi vini e liquori preferiti, come richiesto. Tutti aspettavano nervosamente il titolare dell’hotel.
Dopo aver sentito parlare di lui, non potevano far altro che temerlo.
La mattina del suo arrivo, Paige controllò la stanza per assicurarsi che tutto fosse a posto e che la camera accanto fosse pronta per la guardia del corpo. Soddisfatta, tornò al lavoro; doveva finire le altre stanze prima dell'incontro con il signor Maestri.
Tutti i dipendenti avevano firmato una petizione per fermare la vendita dell'hotel. Gliel’avevano inviata e lui aveva risposto fissando un incontro.
Non aveva chiesto né spiegato nulla sull'incontro; aveva solo detto che avrebbero dovuto esserci tutti o avrebbero perso il lavoro.
Dopo aver finito i suoi incarichi del mattino, Paige stava chiacchierando con una collega quando le porte principali dell'hotel si aprirono. Tutte le chiacchiere allegre cessarono quando l’uomo entrò e calò il silenzio.
Era alto, con capelli scuri e molto attraente. Camminava come un uomo che non temeva nulla, ma che incuteva timore in chiunque lo circondasse.
Paige aveva sentito dire che aveva trent'anni e pensò che fosse troppo giovane per essere uno degli uomini più ricchi del mondo. Anche nel suo costoso completo, si notava che aveva un fisico atletico.
Il suo viso, però, la spaventava: sembrava cattivo e pericoloso, come un boss della mafia uscito da un film. Non era solo, notò lei; un uomo dalla corporatura imponente lo seguiva.
Quest’ultimo indossava un completo e occhiali da sole scuri. La sua bocca era una linea dritta e aveva una cicatrice sul viso; era ancora più inquietante del signor Maestri.
Quando si avvicinarono alla reception, la mano del receptionist tremò nel consegnare loro le chiavi e balbettò mentre dava loro il benvenuto al Maestri Hotel. I due uomini si allontanarono ed entrarono nell'ascensore senza neppure ringraziare.
Lo sguardo di Paige incontrò quello del signor Maestri per un attimo, appena prima che le porte si chiudessero. Si sentì gelare quando incrociò quegli occhi scuri.
I dipendenti furono chiamati nella sala grande un'ora dopo il suo arrivo. Mentre aspettavano che il signor Maestri entrasse, tutti parlavano sottovoce, ma ogni rumore cessò quando lui entrò nella stanza.
Paige pensò che fosse ancora più intimidatorio da vicino. Il suo modo di parlare era perfetto, ma si poteva ancora sentire il suo accento straniero.
«Ho ricevuto questo fax e tutto quello che ho da dire è che l'hotel chiuderà», disse. Strappò il foglio a metà e lo gettò a terra.
Tutti rimasero a bocca aperta per lo shock e si guardarono l'un l'altro. L’uomo stava per girarsi e andarsene, ma Paige gridò.
«No, non è giusto! Non ci ha nemmeno lasciato parlare».
Lui si fermò e si voltò di nuovo.
«Chi ha parlato?» Domandò con voce tagliente.
Nessuno si mosse o disse nulla, finché l'altra cameriera non spinse Paige, facendola inciampare in avanti.
«Tu». Le puntò il dito contro. «Avvicinati».
Mettendo le mani dietro la schiena, Paige fece diversi passi avanti, muovendosi lentamente e sentendo le proprie gambe sul punto di cedere.
«Come ti chiami, ragazza?»
Con gli occhi bassi, troppo spaventata per guardarlo, Paige fissava il pavimento.
«Guardami quando ti parlo», incalzò duramente lui.
La ragazza incrociò quegli occhi scuri e freddi, senza alcuna traccia di gentilezza, e sussurrò: «Paige Mosley, signore».
«Quanti anni hai?» Chiese mentre la squadrava dalla testa ai piedi.
«Ventuno», rispose nervosamente.
«Sembri poco più di una bambina, forse una diciottenne».
«Non sono una bambina», osò ribattere lei.
«Cosa sei, allora?»
«Una cameriera, signore», disse, guardando i suoi piedi.
«Allora puoi pulire la mia stanza domani mattina alle sette. Arriva un minuto in ritardo e perderai il lavoro, non che ne avrai uno ancora per molto, comunque».
Paige sentiva le proprie labbra tremare. Tutti la guardavano quando parlò.
«Non ci ascolterà nemmeno? Forse potrebbe cambiare idea».
«Non cambio mai idea una volta presa una decisione», disse.
Guardò gli altri.
«Vi suggerisco di tornare tutti al lavoro o sarete licenziati».
Uscì, seguito dalla sua guardia del corpo.
Il cuore le batteva forte nel petto. Di solito non provava antipatia per le persone che non conosceva e non era in grado di odiare nessuno.
Quell'uomo era scortese, cattivo e sgarbato e, per la prima volta nella sua vita, pensò di poter finalmente odiare qualcuno.
«Accidenti, Paige, mi dispiace per te che devi pulire la stanza di quel tipo», disse Sandy, la ragazza che l'aveva spinta avanti. «Ma devo dire che è un bell'uomo. Scommetto che sa come far felice una donna a letto».
Paige alzò gli occhi al cielo. Sandy era sempre disposta ad andare a letto con qualsiasi ospite e l'aveva già fatto.
«Meglio che torniamo al lavoro. Penso che sia serio quando dice che saremo licenziati».
Ma doveva ammetterlo. Lui era molto affascinante, se solo non fosse stato così cattivo.
Faticò a dormire quella notte. Il modo in cui gli occhi dell’uomo l'avevano guardata era inquietante.
Eppure sperava che potesse ascoltarla, se avesse provato a parlargli; doveva provarci.
Il giorno dopo, arrivò alla stanza puntuale e fu fermata dalla guardia del corpo, in piedi fuori dalla porta. Si arrabbiò quando lui non si mosse, non volendo arrivare un secondo in ritardo.
«Fammi entrare, il signor Maestri mi sta aspettando».
«Devo controllarti per eventuali armi nascoste», disse con voce roca e un sorriso cattivo.
«Non ho armi», ribatté lei.
Quando la guardia la mise contro il muro e le passò le mani sul corpo, sentì le lacrime agli occhi e, quando la mano dell’uomo andò tra le sue gambe, lo spinse via.
«Sei a posto. Puoi entrare», disse lui sogghignando.
Spingendo il carrello dentro, Paige si asciugò le lacrime. Distolse lo sguardo quando Gabriel entrò nella stanza principale, con indosso solo i pantaloni e in mano la camicia.
«Puoi pulire il bagno ora».
Afferrando i prodotti per la pulizia, fece per passargli accanto, ma lui le afferrò il braccio. Quando la guardò in viso, si rese chiaramente conto che era turbata: il viso era rosso e sembrava sul punto di piangere.
«Ti è successo qualcosa?»
Lei voleva dire di no, fare il suo lavoro e andarsene. Invece lo guardò, con il viso che diventava ancora più rosso.
«Il suo uomo là fuori mi ha appena toccata dappertutto, ha detto che stava cercando armi. Non mi sono mai sentita così male in tutta la mia vita». Era sul punto di piangere.
«Stava solo facendo il suo lavoro, proteggermi. Non era nulla di personale».
«Nulla di personale. Eppure mi è sembrato personale quando ha cercato di mettere la mano tra le mie gambe e sotto il mio vestito».
Cercò di liberare il braccio dalla sua presa, ma lui lo teneva troppo stretto.
«Parlerò con lui. Non accadrà più, te lo prometto», disse, lasciandole il braccio.
Dopo aver pulito il bagno, pensò al resto della stanza. Lui era andato via quando lei si era messa all’opera; ne fu contenta, poiché non voleva stargli intorno.
Quando finalmente finì di pulire la stanza, uscì per andare nella successiva, che era dove alloggiava la guardia del corpo. Deglutendo a fatica, bussò, sperando che lui non ci fosse.
Scoprendo che effettivamente non c'era, si sentì meglio e lavorò il più velocemente possibile. Era un uomo strano e sapeva che aveva goduto nel toccarla.
Era ormai la fine del suo turno quando le fu detto che Gabriel Maestri voleva vederla nella sua stanza. Controvoglia, si diresse all'ascensore per vedere cosa volesse.
Durante tutto il tragitto fino al suo piano, pensò a molte cose, chiedendosi se non avesse fatto bene il letto o se il bagno avesse bisogno di più pulizia, o se la guardia del corpo avesse detto cose cattive sul suo lavoro, cercando di farla licenziare. Raggiunta la porta dell’uomo, si fermò, temendo che la guardia del corpo la toccasse di nuovo.
Ma non lo fece; semplicemente bussò due volte e aprì la porta per lei, senza guardarla.
Gabriel era seduto sulla poltrona di pelle bianca, un drink in mano.
«Voleva vedermi?»
«Sì. Ti ha dato problemi?» Chiese, indicando la porta, riferendosi all'uomo dall'altra parte.
«No», rispose lei.
«Siediti», ordinò.
Paige, conoscendo il tipo di uomo che aveva davanti, fece come le era stato detto.
«Vuoi bere qualcosa?»
Ricordando cosa era successo nella sala grande, lo guardò quando le parlò.
«No, grazie».
«Sai perché ti ho chiamata qui?»
«No».
«Non posso certo vendere l’edificio nelle condizioni in cui si trova. Prenderai appunti e farai le chiamate necessarie per far eseguire i lavori».
«Perché io?» Chiese Paige, con le mani in grembo, cercando di fermarne il tremore.
«Perché sei stata l'unica abbastanza coraggiosa da parlarmi; gli altri stavano lì a guardarmi come conigli spaventati».
«Mi dispiace, non posso. Sono già occupata con le pulizie».
«Che tenerezza, pensi di poter decidere tu», rise.
«Farai come dico io, signorina Mosley». Si alzò e si versò un altro drink e ne versò uno per lei.
«Ecco, bevi questo, ti calmerà».
Portando il bicchiere alle labbra, Paige fece un lungo sorso di whisky. Fece una smorfia mentre l’alcol le bruciava la gola.
«E le pulizie? Non posso farle se sono occupata a seguirla tutto il giorno».
«Qualcun altro può farle al posto tuo», disse lui, versando un altro drink. «Dimmi perché è così importante per te che l'hotel rimanga aperto».
Paige prese un altro lungo sorso del suo drink e, non essendo abituata a bere alcolici forti, trovò il coraggio di parlargli. «I nostri ospiti vengono qui ogni anno. Amano il posto e vengono trattati molto bene. Hanno imparato a conoscerci come noi abbiamo imparato a conoscere loro. Alcune delle persone che lavorano qui lo fanno da anni ed è come una seconda casa per loro».
«Signorina Mosley, di tutti i miei hotel, questo è l'unico che non fa tanti soldi, quindi non vedo motivo di tenerlo aperto».
«I soldi non sono tutto», disse lei, guardandolo.
«Lo sono per me», ribatté lui, ricambiando lo sguardo. «Sta comunque generando un profitto».
Paige stava iniziando a sentire gli effetti dell'alcol che aveva bevuto. «Di solito non bevo alcolici forti; sta iniziando a farmi effetto. Dovrei andare a casa ora, se non le dispiace».
«Farò in modo che qualcuno ti accompagni».
Lo guardò, gli occhi spalancati dalla paura. «Troverò la strada da sola».
Si alzò per andarsene, ma le gambe erano improvvisamente deboli e dovette sedersi di nuovo.
«Non muoverti», le disse e si alzò. «Ti preparerò prima un caffè e poi farò chiamare un taxi per portarti a casa».
La lasciò e andò nella piccola cucina, collegò il bollitore e aggiunse un cucchiaio di caffè istantaneo in una tazza. Una volta che l'acqua bollì, riempì una tazza e gliela portò. Paige aveva gli occhi chiusi.
«Signorina Mosley».
Aprì gli occhi e si raddrizzò. Allungò la mano per prendere la tazza e lui gliela porse. Lo ringraziò.
«Non ero sicuro di come lo preferissi, quindi l'ho lasciato nero».
«Va bene così», rispose lei e ne bevve un sorso.
«Prenditi il tuo tempo. Chiamerò un taxi e lo farò aspettare fino a quando sarai pronta».
Andò al telefono, fece la chiamata e riattaccò.
La mano di Paige tremava un po', ma era perché lui la stava guardando, mettendola in imbarazzo. Posò la tazza lasciando il caffè a metà e si alzò.
«Me ne vado ora».
«Farò in modo che qualcuno si occupi del tuo lavoro. Buona serata, signorina Mosley».
Aprì la porta e aspettò che uscisse, per poi richiuderla.















































