La mia ragazza per finta - Copertina

La mia ragazza per finta

Jane Martana

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Chapter
15
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18+

Riepilogo

Athena, chef in un ristorante di lusso, rimane scioccata quando il suo manager le presenta il proprietario, il suo amico del liceo Ares.

Lo shock aumenta quando Ares la licenzia e le propone un accordo: essere la sua finta fidanzata per sei mesi, al termine dei quali lui le darà un ristorante tutto suo.

Durante una farsa di fronte alla famiglia di lui, tutti adorano Athena e anche Ares comincia a innamorarsi di lei. Persino Athena inizia a sentire una scintilla, fino a quando non scopre la terribile verità.

La loro recita si trasformerà in qualcosa di reale o la verità che si cela dietro la scelta di Ares li terrà separati?

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25 Capitoli

Capitolo 1

Capitolo 1

Capitolo 2

Capitolo 2

Capitolo 3

Capitolo 3

Capitolo 4

Capitolo 4
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Capitolo 1

ATHENA

"Athena, due tranci di salmone!"

"Sì, chef!" Mi asciugai il sudore dalla fronte e mi lavai le mani prima di prendere i due tranci freschi e rosa. Feci sciogliere il burro in una padella per insaporirli e poi li buttai a cuocere.

"Athena, quanto ci vuole per le capesante?"

Diedi una scrollata all'altra padella, controllando il loro colore. "Trenta secondi, chef!"

Amavo il caos, soprattutto quello in cucina. Era rumoroso e disordinato, ma anche gratificante.

Presi un piatto piano e vi misi con cura le capesante prima di aggiungere il vino bianco alla padella. Mentre sobbolliva, aggiunsi un trito di aglio, scalogno e l'ingrediente segreto di mio padre, un po' di pasta d'acciughe.

Mio padre mi aveva insegnato quasi tutto quello che sapevo: come affettare le verdure in modo sottile senza ferirmi, come fare una deliziosa salsa bernese, come cronometrare tutto in modo perfetto.

Quando avevo solo cinque anni, mi aveva persino sfidata a cucinare una bistecca per un vero ordine del suo ristorante.

Forse ci eravamo trovati a chiamare i vigili del fuoco.

Ma ci eravamo fatti una lunga risata.

Ora, vent'anni dopo, stavo facendo il lavoro dei miei sogni in un famoso ristorante di Los Angeles.

Papà avrebbe voluto che lavorassi con lui nel suo ristorante a New York, ma io avevo rifiutato. Volevo seguire la mia strada, stare in piedi da sola. Volevo dimostrare di essere all'altezza di essere uno chef senza l'aiuto di mio padre. Volevo renderlo orgoglioso.

Versai un po' di salsa sulle capesante, poi trasferii il piatto alla fila di cuochi dietro di me. "Ordine pronto!" Poi girai i tranci di salmone per rosolarli dall'altro lato.

Quando avevo detto a mamma che mi sarei trasferita a Los Angeles, lei mi aveva appoggiata, facendo sì che papà si chiudesse in camera. Anche i miei fratelli maggiori, Jayson e Jackson, si erano arrabbiati.

"Puoi ancora cambiare idea, sai..." Mi aveva detto Jayson all'aeroporto, imbronciato.

Avevo scosso la testa. "Sai che non lo farò".

"Forse potremmo trovare tutti lavoro a Los Angeles", aveva detto Jackson, facendo illuminare il volto di papà.

"Non essere ridicolo!" Gli avevo dato una pacca sul braccio e lo avevo fulminato per aver dato quella strana idea a papà. Amavo la mia famiglia, ma dovevo farlo per me stessa.

Mentre impiattavo i due tranci di salmone, lo chef gridò di nuovo.

"Athena, due polli e un altro salmone!"

Accelerai il passo, facendo una pausa di qualche secondo per bere dalla borraccia.

"Due costate, cottura media!"

Le aggiunsi alla griglia e condii il salmone.

"Costolette di maiale!"

Iniziai subito a cucinarle, poi controllai il pollo.

"Athena!"

"Sì, chef!" Mi girai a guardarlo dall'altra parte della cucina.

"Questo hamburger è poco cotto. Il cliente lo vuole di media cottura. Rifallo al volo".

Il mio stomaco fece una capriola. ~Poco cotto?Presi il piatto e controllai la tenerezza della carne, poi la rimisi sulla griglia, cercando di non farmi prendere dalla vergogna. Odiavo sbagliare, ma non potevo permettermi di rallentare in un sabato sera.

"Dov'è il mio pollo per il tavolo cinque?" Chiese un cameriere.

"Un minuto!" Risposi mentre lo impiattavo e lo portavo a lui.

"Athena, vieni un attimo, per favore". Minnie, la nostra manager, mi fece cenno di fermare tutto.

Mi asciugai le mani su un asciugamano mentre mi avvicinavo a lei. "Va tutto bene?"

"Ti prego di seguirmi". Si voltò per uscire dalla porta laterale, che conduceva agli uffici.

Aveva un'espressione strana e io ansimai nervosamente, guardandola con occhi interrogativi. Si tratta dell'hamburger?

"Ma... Non possiamo parlare dopo?" Indicai i biglietti degli ordini in attesa, ma lei scosse la testa. Allora feci segno a un altro chef di prendere il mio posto.

"Il capo vuole parlarti", spiegò Minnie mentre uscivamo dalla cucina.

"Il capo?" Chiesi.

"Sì, il nostro capo".

"Ho fatto qualcosa di sbagliato?" Risi nervosamente mentre salivamo al secondo piano. Non ero mai stata fermata nel bel mezzo del servizio.

"Non lo so. Per favore, seguimi e mantieni il passo".

Non mi ero accorta di aver rallentato, così accelerai per seguirla mentre mi conduceva alla piccola sala riunioni. Bussò alla porta e mi fece cenno di entrare.

Aprii la porta e la mia mascella cadde per una frazione di secondo.

"Ares Anderson?" Lo guardai incredula.

"Ciao, Athena". Sorrise alzandosi dalla sedia.

Non avevo più visto quell'uomo di persona dai tempi del liceo. Era il ragazzo più popolare della scuola, un atleta pieno di talenti, che cambiava le ragazze come cambiava i vestiti. Ai tempi eravamo diventati amici, niente di più, e solo perché ci ritrovavamo spesso a condividere delle lezioni.

Era sempre stato interessato a frequentare le cheerleader.

Ora che era cresciuto, avevo sentito dire che le ragazze gli facevano ancora la corte. Era normale vederlo sui giornali, sulle riviste di gossip e alle grandi manifestazioni. E ogni volta c'era una ragazza diversa che gli stava appiccicata.

Però non le biasimavo. Era cambiato molto, e in senso positivo.

I suoi capelli castani erano sempre stati corti, ma ora aveva un taglio diverso con dei ciuffi più lunghi che gli coprivano la fronte. I suoi profondi occhi marroni sembravano vuoti, ma ancora belli come li ricordavo, con le ciglia scure.

Era in piedi davanti a me, più alto di allora, con una giacca nera abbottonata che stringeva i suoi muscoli. Le maniche erano arrotolate e rivelavano un tatuaggio sull'avambraccio sinistro: era un drago o forse una fenice.

Le sue vene erano visibili e mi fecero deglutire a fatica prima di alzare di nuovo lo sguardo su di lui. Era un crimine essere così belli e mi odiai per il fatto di desiderarlo.

Si lasciò sfuggire un piccolo colpo di tosse. "Hai finito di fissarmi?"

Le mie guance si scaldarono. "Nonti sto fissando".

"Come stai, Athena? È passato qualche anno".

"Sì, è passato un bel po' di tempo".

"Vieni ad abbracciarmi".

Non mi mossi nemmeno, perché stavo ancora cercando di capire perché fosse lì. Allora Ares mi afferrò il polso e mi tirò a sé. Sentii subito l'odore della sua colonia agrumata mentre mi avvolgeva con le braccia. Gli accarezzai goffamente la schiena.

"Cosa ci fai qui, Ares?" Chiesi in tono sospettoso.

Si allontanò e indicò la sedia di fronte alla sua. "Siediti, per favore".

"Sei tu il capo?" Chiesi mentre mi sedevo e Ares fece lo stesso, annuendo. La sua famiglia aveva molte aziende, quindi immaginai che il fatto che lui possedesse il ristorante non mi avrebbe dovuta sorprendere.

"Ti piace il tuo lavoro?"

Che domanda strana. "Certo, altrimenti non lavorerei qui".

"Bene". Fece una pausa. "Perché sei licenziata".

Mi cadde la mascella.

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