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La spirale perfetta

Capitolo 1

ALEX

Ero rannicchiata nell'armadio di Andrew, con le ginocchia strette al petto, nascosta, aspettando che tornasse a casa. Lui non aveva idea di cosa stava per succedere.

No, non ero una killer psicopatica. Andrew era il mio ragazzo e non ci vedevamo da giorni. Esami, sessioni di studio, nottate passate a sgobbare: l'università ci aveva seppelliti entrambi. Così, avevo pensato di fargli una sorpresa sessuale. Indossavo solo un completo di lingerie nera di pizzo che avevo scelto apposta per lui.

Sentii la porta d'ingresso dell'appartamento aprirsi e un fremito nel petto. Ero eccitata all'idea di vederlo. E che lui mi vedesse con il mio nuovo completo sexy.

Ma poi sentii anche questo: la risata di un’altra donna.

Guardai attraverso la stretta fessura della porta mentre Andrew e una ragazza entravano nella sua stanza, già baciandosi. I vestiti volarono via. Lei lo spinse sul letto e gli si mise a cavalcioni come se l'avesse già fatto molte altre volte prima.

"Oh mio Dio, sì", gemette lei non appena iniziarono.

Si inarcò all'indietro e si muoveva su e giù, con i seni che rimbalzavano. Guardai con orrore mentre Andrew le afferrava i fianchi e la penetrava con la stessa passione e gli stessi gemiti ansimanti che aveva con me. Era tutto fin troppo familiare, persino il modo in cui sussurrava il suo nome.

Lei però non sussurrava, urlava.

"Cazzo, Andrew! Proprio... lì! Mmmmm, proprio lì, tesoro!"

Lui le afferrò i seni con forza, le mani piene e avide mentre grugniva per lo sforzo. Lei gettò indietro la testa, gemendo così forte da far tremare le pareti, poi lo guardò con un sorriso malizioso. "Dillo", gli chiese, con voce affannata. "Di' che sono la migliore che tu abbia mai avuto. Meglio di lei".

Andrew non esitò.

"Lo sei, sei... meglio... di lei", ansimò, pronunciando ogni parola con affanno. "La... migliore..."

Basta, lo spettacolo era finito, non ce la facevo più.

"Ma che cazzo!?" urlai mentre sbattevo la porta dell'armadio.

"Porca puttana!" urlò Andrew mentre la spingeva via da sé. Lei gridò quando atterrò con un tonfo sul pavimento.

Andrew faticò ad alzarsi dal letto, avvolgendosi nelle lenzuola mentre cercava di avvicinarsi a me. La ragazza si affrettò a coprirsi, afferrando i suoi vestiti.

Lo fissai con rabbia, il petto ansimante. "Sono venuta qui per farti una sorpresa", sbottai, con la voce tremante di rabbia. "Ero nell'armadio, ad aspettarti. Con questa fottuta lingerie. Per te".

I suoi occhi mi percorsero il corpo, nonostante il momento, ed ebbe il coraggio di sussurrare: "Sei stupenda. Quel completo è..."

"Vaffanculo", lo interruppi bruscamente, afferrando i miei pantaloni della tuta e tirandoli su sui fianchi. Mi infilai la felpa con mani tremanti.

Dovevo andarmene. Non volevo che mi vedesse piangere. Mi diressi verso la porta.

"Alex, ti prego, parliamone. Ti amo! Più di ogni altra cosa!" Ebbe l'audacia di cercare di prendermi la mano.

"Non toccarmi, pezzo di merda traditore! Se mi amassi così tanto, non avresti una bionda svampita che ti salta addosso, Drew! Non c'è più niente da discutere! È FINITA! TI LASCIO!"

La mia rabbia era una bomba a orologeria e sapevo che dovevo andarmene prima di fare qualcosa di cui mi sarei pentita.

Si mise tra me e la porta, bloccandomi il passaggio con il suo corpo mezzo nudo e implorante. Aveva gli occhi sgranati, disperati, e per un attimo pensai che potesse davvero cadere in ginocchio.

"Levati. Di. Mezzo."

"Alex, ti prego, mi dispiace. Non succederà più, te lo prometto."

Lo spinsi via toccandogli il petto, cercando di superarlo, ma lui mi afferrò il braccio con forza. Le sue dita affondarono nella mia pelle e, per una frazione di secondo, il suo viso si contorse in un'espressione che non riuscii a decifrare. Disperazione? Rabbia? Panico?

La mia mano si alzò d'istinto e lo schiaffeggiò sulla guancia. Il suono rimbombò nella stanza, netto e definitivo.

"Tesoro, io..." balbettò, cercando di raggiungermi di nuovo.

Mossa sbagliata.

Strinsi il pugno e glielo piantai dritto sul naso. Con forza. Avere tre fratelli maggiori insegnava a tirare pugni.

La mia mano pulsava per l'impatto, ma il dolore non era nulla in confronto alla soddisfazione di vederlo barcollare all'indietro, con la mano sul naso sanguinante.

L'altra ragazza, ormai mezza vestita, si alzò e sogghignò: "Sono mesi che cerca di liberarsi di te. Mi ha detto tutto. Ha detto che sei appiccicosa e noiosa. Io gli sto dando tutto quello che ha sempre voluto".

La sua voce era compiaciuta, come se pensasse di aver vinto qualcosa. Come se pensasse che mi sarei semplicemente sgretolata.

Invece, sorrisi.

"Oh, davvero? Che buffo, mi ha detto esattamente la stessa cosa della ragazza che c'era prima di me. Ha detto che era bisognosa d'affetto. Drammatica. Lo prosciugava. Ti suona familiare?"

Lei sbatté le palpebre, aprendo leggermente la bocca.

"Almeno io ho avuto la classe di aspettare che lui rompesse con lei prima di iniziare a scoparlo", aggiunsi, con ogni sillaba intrisa di sarcasmo. "Ma, ehi, forse i tuoi standard sono più bassi".

Sbattei la porta dietro di me e mi precipitai verso l'ascensore. Non appena le porte si chiusero, le lacrime cominciarono a scendermi e i miei singhiozzi riecheggiarono nel piccolo spazio.

Uscii dall'edificio nella calda notte di Los Angeles. Camminai per mezzo isolato e trovai una panchina nel parco. Tirai fuori il telefono e chiamai la mia coinquilina Andy, ma lei non rispondeva, così chiamai la mia altra ancora di salvezza, mio fratello.

Il mio pollice tremava mentre premevo il tasto di chiamata, la vista offuscata dalle lacrime, il petto ancora stretto per tutto quello che avevo appena visto. Ma, quando la linea si attivò, dall'altra parte non c'era la voce di mio fratello.

"Alex?" disse una voce profonda e roca. "Perché diavolo mi stai chiamando?"

Mi mancò il respiro. "Knox?"

Ma certo. Tra tutte le persone nella mia rubrica, avevo chiamato per sbaglio Knox Taylor, il migliore amico di mio fratello, il ragazzo che cenava a casa nostra cinque sere a settimana e che ora era diventato uno dei quarterback più famosi della NFL.

Non lo vedevo di persona da anni, ma l'avevo visto su abbastanza copertine di riviste da sapere che aspetto avesse: fisico muscoloso, pelle abbronzata, occhi azzurri penetranti e una barba incolta fastidiosamente perfetta. Il tipo di viso che faceva sì che le aziende gli offrissero contratti pubblicitari e che le ragazze di tutto il mondo perdessero la testa.

E, in quel momento, quel viso era dall'altra parte del telefono.

Sembrava più grande, più rude, ma conoscevo quella voce come conoscevo il battito del mio cuore.

"Alex", disse di nuovo, questa volta con voce più gentile, ma con una punta di preoccupazione. "Stai piangendo?"

Tirai su col naso, asciugandomi subito il viso. "No. Non è niente. Ho sbagliato numero. Non volevo..."

"Non mentirmi". Il tono era tornato tagliente, feroce e protettivo, in un modo che mi faceva male al petto. "Che cos’è successo? Dove sei?"

"Va tutto bene, sono solo..."

"Alex. Dove. Sei".

"Sono a Los Angeles, Knox. Che importanza ha? Tu non sei a New York?"

Non esitò. "Sono in città. Vengo a prenderti."

Il mio cuore fece un balzo. "Aspetta... cosa? Knox, no, non devi..."

"Sono già in macchina, Alex. Dimmi dove sei".

Esitai, poi gli diedi l'indirizzo.

"Resta lì. Non muoverti. Sto arrivando".

"Knox, non è necessario, io..."

"Nessuno ti farà più piangere", disse, con voce bassa e minacciosa. "Non finché ci sarò io. Mai. Sarò lì tra dieci minuti".

La linea cadde.

Le mani mi tremavano ancora, ma per un motivo completamente diverso. Knox Taylor, il mio nemico d'infanzia, quello che mi tirava le trecce e mi chiamava saputella, stava venendo da me.

Ma non era più un ragazzino. Era lo scapolo numero uno del mondo dello sport, l'uomo con un sorrisetto che faceva impazzire milioni di ragazze in tutto il mondo.

E stava venendo da me.

Non sapevo se essere eccitata o terrorizzata.

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