
Carrero 3 - La soluzione Carrero
Jake ha appena commesso il più grande errore della sua vita... permettere a Marissa Hartley di tornare nella sua vita.
Anche Emma sta per fare l'errore più grande della sua vita: perdere Jake per sempre.
Il capo e l'assistente, dopo essere passati da colleghi ad amici e infine a coppia, affrontano la loro sfida più grande. Divisi dall'errore di Jake, il loro rapporto è appeso a un filo. Troppe cose non vengono dette e troppe ferite sono ancora aperte.
Sarà l'ultima goccia per la loro relazione?
Capitolo 1
Sono rannicchiata sul letto, intorpidita da singhiozzi incessanti e da un dolore devastante. Non so da quanto tempo sono sdraiata, a sentire il sangue pulsare nella testa mentre il cuore implode nel mio corpo.
Sono ridotta a un guscio vuoto. Un guscio immobile e irriconoscibile, consumato dalla stanchezza e dall'angoscia.
Sono esplosa, l'ho colpito e l'ho spinto via con tutta la forza che avevo. Eppure, lui cercava di aggrapparsi a me.
Gli ho gridato di non avvicinarsi, di non toccarmi mai più. Gli ho detto di andarsene e di lasciarmi sola. Ho urlato, ho pianto e sono crollata in pezzi sul pavimento. Le sue parole erano solo suoni incomprensibili intorno a me, sopraffatta dal dolore.
Solo quando l'ho supplicato tra i singhiozzi di lasciarmi in pace, finalmente si è arreso. Si è allontanato, permettendomi di trovare la forza per alzarmi e correre nella solitudine di questa stanza... la nostra stanza. La sua stanza. L'ho chiuso fuori. Non posso sopportare la sua vicinanza, il suo tocco, il suo sguardo.
La donna che un tempo possedeva il suo cuore. L'unica altra donna che lui ha amato e che ora porta in grembo suo figlio.
Marissa Hartley.
Il suo nome è come un pugnale nel petto, una ferita così insopportabile e bruciante, che mi assicura che non mi riprenderò mai dal colpo fatale.
È stata la mia stupidità a farti credere che ti avrei tradito con tanta leggerezza, solo per un litigio.
Un lieve bussare alla porta. Il mio respiro si blocca e il battito si arresta. La sua vicinanza mi scuote ancora. Il mio corpo trema, avvertendo la sua presenza nell'aria.
"Emma?" La sua voce, roca e ruvida, mi provoca una fitta al petto. Mi giro su un fianco per ignorarlo, mi copro le orecchie e mi raggomitolo, invasa da una nuova ondata di dolore insopportabile. Lacrime silenziose scorrono sul mio viso. Voglio solo che questa sofferenza smetta di divorarmi.
"Emma, ti prego... Fammi entrare", supplica. La sua voce è così estranea al mio Jake, così diversa da quella che conoscevo, mi distrugge l'anima. Mi sento talmente distante da me stessa che temo di non ritrovarmi più. Stringo gli occhi con forza, pregando che se ne vada. Non riuscirei a parlare, nemmeno volendo. La mia voce è così graffiata e dolente che persino ingoiare è difficile, dopo i lamenti disperati della donna straziata quale sono.
Avverto un leggero tonfo contro la porta, che scricchiola sotto la pressione di qualcosa di pesante e morbido che scivola lentamente dall'altro lato.
Aspetta che mi calmi, ma non posso tenerlo fuori per sempre. Questo è il suo appartamento... la sua casa. Non più la mia. Dovrei alzarmi, prendere le mie cose e andarmene. Non ho altra scelta. Non c'è più nulla per noi qui.
Una nuova ondata di devastazione mi investe e un singhiozzo rompe il silenzio. Non riesco nemmeno a immaginare di lasciarlo, non ancora, non mentre il mio corpo desidera solo restare qui a morire. Il dolore è così totalizzante che riesco a malapena a respirare.
Sto annegando nella confusione. Non posso permettergli di avvicinarsi. Il solo pensiero del suo tocco fa riaffiorare l'immagine di lui e di lei: lui che la sfiora, la guarda negli occhi, la bacia. Mi brucia dentro come ferro rovente e mi tortura nel profondo.
"Io... io... non posso". La mia voce è debole e fragile, un'ombra di quella che era. Respiro tra le lacrime, non sicura che mi abbia udito.
"Emma, non ti toccherò. Lo giuro. Manterrò le distanze. Ho solo bisogno di vederti", mi implora. Si avvicina alla porta per cogliere la mia risposta e questo mi distrugge ancora di più.
Non sopporto questa versione fragile e dimessa di lui, accasciato dall'altra parte della porta, a implorare di entrare in una stanza del suo stesso appartamento.
"Non posso. Non riesco ad alzarmi". È la verità. Non ho la forza di raggiungere la porta. Sono a pezzi. Le lacrime scendono silenziose, incontrollate. Riesco a malapena a sollevare la testa, così svuotata da essere incapace di muovermi. La stanchezza mi attanaglia ogni arto con un insostenibile sfinimento emotivo. Non so che ore siano, ma mi sembra di essere qui da giorni.
"Dimmi solo che posso aprire la porta e lo farò", mormora teso. Aspetta, sperando che non lo tenga ancora fuori, cercando il mio permesso.
Per quanto desideri disperatamente mandarlo via, non ci riesco. È lui la fonte di questa agonia paralizzante, eppure è anche l'unico che potrebbe salvarmi. Ecco la mia tortura: il mio guaritore è anche il mio carnefice. In mezzo a questa devastazione, il mio cuore soffre, cercando la sola persona che ha sempre saputo calmarmi e farmi sentire al sicuro.
"È casa tua". Mi arrendo, lasciando a lui la decisione. Un attimo dopo, sobbalzo sorpresa quando lui spalanca la porta con un calcio deciso. Il legno si scheggia e il metallo si deforma con violenza. La luce si riversa dall'altra stanza, stagliando la sua figura forte e mascolina contro lo stipite.
Mi raggomitolo, proprio come facevo da bambina, coprendo d'istinto il viso con le braccia per proteggermi. La sua presenza mi provoca un dolore più intenso di qualsiasi altro abbia mai provato. Sento i suoi passi sempre più vicini. Il letto si abbassa mentre si siede, mantenendo la distanza. Sospira pesantemente. Percepisco la sua potente energia, carica di rimorso e disperazione, pervasa da uno strazio che rispecchia il mio.
















































