
Il ronzio del mio telefono attirò la mia attenzione e mi alzai a sedere sul letto per controllare chi fosse: era papà.
Sorrisi e mi diressi verso il balcone con il telefono, per parlare con lui.
"Papà", dissi, sorridendo di felicità mentre rispondevo alla chiamata. A causa dei suoi impegni, raramente aveva il tempo di parlare con me, ma di solito mi chiamava a tarda notte per chiedermi come stessi.
Sapevo che era al corrente di cosa facevo e cosa non facevo grazie alle guardie scolastiche, ma apprezzavo molto ogni volta che mi dedicava del tempo e mi chiamava oppure quando veniva a trovarmi.
"Come va, bello?" Sentii chiedere dalla sua voce dall'altro capo, seguita da quella di mamma e Amelia in sottofondo. Amelia era la mia sorella minore e frequentava ancora la prima media.
Era una bambina piuttosto testarda, ma aveva un cuore grande per tutte le persone che la circondavano. Era la cocca di papà e mio padre non si sarebbe fermato davanti a nulla per esaudire tutti i suoi desideri, con grande disappunto della mamma.
Inoltre, anche il nonno la viziava. Solo grazie alla mamma era ancora disciplinata.
Crescendo, era diventata più irascibile, proprio come papà, ma per fortuna questo non aveva ostacolato i suoi studi.
"Niente di che. Stavo leggendo un libro di astronomia, ma ho finito per addormentarmi. Grazie alla tua chiamata, ora sono sveglio". Sorrisi quando lo sentii sospirare.
"Hai bisogno di dormire. Probabilmente..." Si interruppe, forse controllando l'ora, e poi disse: "Le due del mattino. Fai riposare il cervello".
"Non preoccuparti, sto bene", gli dissi e, mentre parlavamo, vidi un'ombra sulla strada, sotto il lampione.
Per un attimo pensai che fosse la guardia di sicurezza o il guardiano di pattuglia, ma poi la riconobbi. Veronica.
Erano le due del mattino e lei stava tornando dal cancello d'ingresso verso il suo dormitorio, passando davanti alla mia ala con noncuranza come se, una volta scoperta, non le fosse successo nulla.
Anche se c'erano telecamere a circuito chiuso dappertutto, guardie di sicurezza e guardiani che pattugliavano i dintorni, non era sicuro che una ragazza fosse al sicuro ad aggirarsi con noncuranza a quell'ora della notte da sola.
In quel momento avrei voluto chiamarla o fare qualcosa, ma poi pensai che non erano affari miei. Chi ero, io, per dirle cosa fare e cosa non fare?
Ma, comunque, come poteva una ragazza essere così audace? Sospirai mentre la guardavo passeggiare con le mani infilate nelle tasche della felpa. Indossava pantaloni da ginnastica e pantofole.
Socchiusi gli occhi e mi precipitai in casa a prendere gli occhiali. Li indossai e guardai in basso. Vedevo che era perfettamente cosciente e, un attimo dopo, si trovò proprio sotto la mia ala, annoiata.
"Papà, devo andare. Ti richiamo domani, va bene?" Dissi, prima di riattaccare e infilare il telefono nella tasca dei pantaloni.
Mi precipitai di nuovo dentro e fuori dalla porta del mio dormitorio e corsi attraverso l'edificio, verso il cancello d'ingresso. Una volta raggiunto, vidi la guardia di sicurezza che dormiva sulla sua sedia, con un manganello in mano.
Anche se sentivo il mio cuore battere all'impazzata per l'ansia di infrangere la regola del "divieto di uscire di notte senza permesso" e di essere scoperto, superai in punta di piedi la guardia addormentata e uscii silenziosamente dal cancello.
Non appena fui fuori, tirai un sospiro di sollievo, mi chinai e mi tenni le ginocchia, sentendole vacillare.
Anche se non mi piaceva quello che avevo appena fatto, nel profondo, una scarica improvvisa dentro di me mi elettrizzò. In qualche modo, stavo provando l'ebrezza di andare controcorrente.
Mi guardai intorno per cercare Veronica e la trovai nel punto in cui l'avevo vista l'ultima volta. Si guardava i piedi, disinteressata o annoiata, e ondeggiava nella sua posizione.
Ora che ero più vicino a lei, vidi che aveva degli auricolari infilati nelle orecchie e sembrava che stesse parlando con qualcuno. Rimasi dove ero e mi limitai a osservare i suoi movimenti.
Per i successivi quindici minuti rimase lì a parlare tranquillamente al telefono, poi si voltò e fece qualche passo verso il suo dormitorio.
Mi girai, pronto a tornare nella mia stanza, ma poi mi voltai e la osservai mentre si ritirava.
Guardai verso il balcone della mia stanza e poi di nuovo verso di lei. Un sospiro mi sfuggì dalla bocca, perché non ne potevo più, e così decisi di seguirla finché non avesse raggiunto il suo dormitorio in modo sicuro.
Pochi secondi dopo le stavo dietro, in silenzio, rimproverandomi per le mie azioni. Qualsiasi cosa stessi facendo, mi sembrava di essere una specie di stalker.
Tutti questi pensieri invadevano la mia mente e mi facevano piagnucolare, ma, nonostante ciò, scelsi di continuare.
Finalmente raggiungemmo il suo dormitorio e io mi fermai sulle mie tracce, mantenendomi a distanza di sicurezza da lei mentre la osservavo costeggiare il confine, evitando il cancello d'ingresso.
Senza sforzo, Veronica si arrampicò sul muro di cinta alto tre metri e scese dall'altra parte.
"Ma che cos'è questa ragazza?" Dissi, ad alta voce, scioccato.
Era riuscita a scuotere la mia mente al punto che mi chiedevo se fosse una cosa normale per tutti gli esseri umani.
Era arrivata a scuola solo da tre giorni e io l'avevo già vista lottare contro Elliot, vagare fuori a notte fonda e saltare edifici e confini.
Mi girai per andarmene, ma continuai a guardarmi indietro, pensando che, probabilmente, lei sarebbe saltata giù e sarebbe uscita di nuovo per vagare nella notte. Fortunatamente, non si fece vedere, con mio grande sollievo.
Mentre tornavo indietro, mi dissi che non avrei dovuto disturbarla la prossima volta che avrebbe fatto una cosa del genere.
Sarebbe stato molto meglio se mi fossi concentrato sui miei studi o avessi letto un libro, invece di seguire una ragazza come uno stalker a tarda notte.