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Soggetto sperimentale

Visita medica

Mi sveglio convinta che tutto quello che è successo il giorno prima sia stato solo un sogno bizzarro. Un'offerta di lavoro spuntata dal nulla, in un seminterrato misterioso, dove non possono dirmi niente sul lavoro stesso ma hanno bisogno di conoscere ogni mia preferenza sessuale? Nella vita reale non funziona così.

Ricordo a malapena come sono tornata a casa ieri sera. La memoria si annebbia subito dopo aver lasciato l'ufficio.

Forse ero ancora carica di adrenalina per l'incontro con il capo dell'azienda in cui lavoro da anni. Anni in cui non avevo mai nemmeno sentito nominare il "signor Sire".

Eppure, ho un'immagine nitida di lui nella mente. Dev'essere successo davvero. Giusto?

Fuori fa un caldo soffocante, così decido di indossare un abito estivo giallo a fiori bianchi che mi arriva alle ginocchia.

Mi spazzolo i lunghi capelli neri e li raccolgo in uno chignon stretto. Anche una sola ciocca fuori posto potrebbe interferire con il mio lavoro, quindi li tengo sempre in ordine. Mi guardo allo specchio un'ultima volta.

E se non fosse stato un sogno? Se arrivata in ufficio, il signor Sire e Richard mi portassero di nuovo in quel seminterrato, questo outfit sarebbe appropriato?

Scuoto la testa con un sospiro. Era sicuramente un sogno. "Signor Sire"... il mio cervello non poteva inventarsi un nome più credibile? E "Richard" è così comune. Cosa c'era? "Mario Rossi" era già stato preso?

Indosso i miei tacchi rossi e mi passo un velo di rossetto dello stesso colore, sapendo che si intona con la mia carnagione chiara e i capelli scuri. Sono sicura di apparire molto femminile e delicata, ma va bene così. So di essere più forte di quanto sembri.

Non sarò molto alta, ma sono decisamente in forma. Dato che al di fuori del lavoro non ho grandi impegni, trascorro intere ore in palestra. Le persone tendono sempre a sottovalutarmi, salvo poi sorprendersi quando le batto a braccio di ferro.

Ridacchio tra me e me, afferro la borsa ed esco dal palazzo. Detesto quel posto. Si trova in una zona poco sicura della città, e il mio appartamento è minuscolo. Avrei davvero bisogno di uno stipendio più alto. Peccato che quella proposta non fosse reale.

Arrivata al lavoro, saluto il portiere e mi avvio verso l'ascensore. Quando le porte si aprono, mi trovo davanti un enorme addetto alla sicurezza. È... quel tipo!

«Signorina Woods». Aggrotto le sopracciglia quando fa un passo fuori e mi indica l'altro ascensore. «Oggi non deve occuparsi del suo solito lavoro. Se è pronta, la prego di scendere: il signor Sire la sta aspettando».

Rimango impietrita. Quindi non si trattava di un sogno, alla fine. Il che significa che ora scoprirò cosa comporti davvero questo nuovo lavoro.

Seguo la guardia nell'ascensore. Scendiamo giù, poi percorro il corridoio buio fino all'ufficio scuro, dove il signor Sire mi accoglie.

«Cat, sono felice che tu sia tornata per sottoporsi alla visita medica». Mi scruta per qualche istante. «Prego», aggiunge, aprendomi la porta.

Attraverso la soglia. Sento un leggero rumore meccanico mentre la porta scompare alle mie spalle, e mi ritrovo di nuovo sola, nel corridoio bianco.

Mi dirigo verso la clinica, busso e spingo la porta.

«Cat, benvenuta!» Richard mi fa cenno di entrare, e io appoggio la borsa su una sedia lì accanto.

«Se non hai domande», continua, «vorrei iniziare subito l'esame. È l'ultima delle procedure preliminari. Poi, dopo aver firmato il contratto, potrai metterti al lavoro!»

«Ok», borbotto goffamente. Lui sorride, invitandomi ad avvicinarmi a uno strano macchinario che il giorno prima non avevo nemmeno notato.

«È qui che verrai esaminata». Mi fermo davanti a quello che sembra un antico strumento di tortura medievale, una sorta di vergine di ferro.

È in metallo lucido, più o meno delle dimensioni e della forma di un corpo umano, e sono quasi certa che dovrò entrarci e chiudermi dentro.

Richard sembra cogliere la mia esitazione. «Non sentirai alcun dolore, te lo assicuro. Basta entrare, si avverte un po' di calore e in pochi minuti l'esame è concluso».

Annuisco. Nonostante la confusione, decido di fidarmi. Se avessero voluto farmi del male, non avrebbero avuto bisogno di tutta questa messinscena del lavoro e dei test. A quest'ora sarei già morta.

Entro nel dispositivo, allargando leggermente braccia e gambe per aderire alle sagome metalliche. Mi pento subito di aver indossato un vestitino e un perizoma sottilissimo.

Richard chiude lo sportello. Lo spazio è stretto, ma non soffro di claustrofobia, quindi posso farcela.

Si attiva il rumore di uno scanner, e sento una specie di solletico sulla fronte. Abbasso le palpebre quando mi scorre sul viso, poi sul collo e sulle spalle.

Riapro gli occhi. Quella sensazione di solletico proviene da un laser blu che si muove lentamente lungo il mio corpo. Quando raggiunge l'inguine, un calore piacevole si diffonde tra le gambe. È normale che succeda?

La luce si blocca esattamente lì. Sospiro. È una sensazione gradevole, ma è un tantino imbarazzante eccitarsi durante un esame medico.

«Sembra che ci sia un piccolo malfunzionamento. Lo sistemo subito», mi raggiunge la voce di Richard. Scuoto la testa. Proprio ora che il raggio è puntato sul mio inguine!

Lo sento armeggiare dietro di me, spostando qualcosa sul retro della macchina. All'improvviso, le "gambe" del dispositivo iniziano ad allargarsi, con le mie ancora all'interno.

Guardo in basso, confusa. Non posso muovermi mentre le gambe si divaricano sempre di più. Ormai sono quasi in spaccata. Per fortuna sono flessibile, altrimenti sarebbe piuttosto doloroso!

«Scusami, devo raggiungere un punto preciso», si giustifica Richard. Poi sento un lieve rumore metallico, come se stesse aprendo un pannello. «Il laser sta per ripartire, non spaventarti».

Annuisco per quanto riesco, con la testa bloccata nel metallo, per poi rendermi conto che non può vedermi.

Vorrei chiedergli cosa non andava, ma proprio mentre apro la bocca, avverto qualcosa di strano sul perizoma. Come... uno strattone. Subito dopo, qualcosa di freddo sfiora le mie pieghe, sotto il tessuto. Rabbrividisco.

Questa macchina è davvero difettosa! Non so se dovrei dire qualcosa o meno. Però è piuttosto piacevole, e sarebbe più imbarazzante parlarne che lasciar correre.

Il mio respiro si fa più rapido mentre la carezza meccanica si muove con esasperante lentezza sulle mie parti intime, per poi proseguire rapida sul resto del corpo.

Finalmente, le gambe metalliche si chiudono di scatto e lo sportello si apre.

«Mi dispiace per l'inconveniente». Richard mi aiuta a uscire prima di sorridermi di nuovo. «Hai superato l'esame e il questionario è perfetto. Ora puoi tornare nell'ufficio del signor Sire per firmare il contratto, se decidi di accettare il lavoro».

«Io...» Lancio un'occhiata oltre la spalla, poi mi sporgo verso di lui e sussurro: «È un lavoro pericoloso? Perché pagano così tanto?»

«È semplice». Il suo sorriso si allarga ancora di più e, per la prima volta, sembra inquietante. «Lavoriamo con creature che possono diventare molto aggressive, se non vengono trattate nel modo giusto.

Inoltre, questo impiego è estremamente riservato. Nulla deve filtrare all'esterno, da qui tutte le domande sulla vita privata. E poi il signor Sire è un uomo ricco e generoso, gli piace condividere».

Annuisco lentamente. Sembra ancora troppo bello per essere vero. E il grande sorriso di Richard non migliora le cose.

Quando arriviamo alla porta in fondo al corridoio, lui la apre e io entro. Il signor Sire alza lo sguardo non appena mi accomodo di fronte a lui.

«Hai preso una decisione?» chiede con la sua voce calda.

Faccio un cenno. «Posso vedere il contratto prima di firmare?»

«Naturalmente». Mi acciglio davanti al foglio interminabile che mi porge. Non posso davvero leggerlo nella luce fioca dell'ufficio, soprattutto con lui che mi fissa per tutto il tempo.

Così mi limito a scorrerlo in fretta. «Divieto assoluto di parlare del lavoro con chiunque. Divieto di consultare medici al di fuori della struttura. Divieto di rivolgersi ad avvocati esterni».

Lui annuisce. «Sono solo clausole legali obbligatorie. Se dovesse succederti qualcosa durante il lavoro, riceveresti cure migliori qui che in qualsiasi altro posto. Siamo altamente specializzati».

«E questo cosa significa?» Aggrotto di nuovo le sopracciglia, notando un'altra clausola. «Non si possono intraprendere azioni legali in merito a eventuali rapporti sessuali avvenuti all'interno della proprietà».

«Solo gergo giuridico». Il signor Sire sembra infastidito, così annuisco rapidamente.

«Vuoi firmare?» domanda, porgendomi una penna pesante, dall'aspetto costoso.

La prendo. Cosa mai potrebbe succedermi?

Deglutisco e appoggio la mano sul foglio. Ma proprio un attimo prima di firmare, mi blocco.

«Ha accennato alla possibilità di vivere qui. È ancora valida?»

«Certo. Il tuo appartamento si trova proprio lì». Indica una porta che non avevo notato prima. Considerando come in questo posto le porte sembrino comparire e scomparire a piacimento, forse c'è un motivo.

«Le nostre aree residenziali sono dotate di ogni comfort», spiega. «Piscina, spa, sauna privata, palestra... nel caso ne avessi bisogno».

Colgo una lieve nota di compiacimento nella sua voce, soprattutto nell'ultima parte. Cosa intende, esattamente?

Abbasso di nuovo lo sguardo sul contratto, ancora indecisa. Il signor Sire si sporge in avanti e posa la mano sulla mia. Mentre la fisso, una strana sensazione di calore inizia a diffondersi dal punto in cui mi sta toccando, anche se la sua pelle rimane fredda.

«Ti preoccupi troppo, Cat. Ti ho scelta per questo incarico per un motivo, e non mi sbaglio mai. Il tuo nuovo lavoro ti piacerà. Anzi, sono certo che finirai per... amarlo». Di nuovo, quel tono compiaciuto.

Contro ogni buonsenso, firmo il contratto.

Quando poso la penna, il signor Sire lascia andare una risata. Sembrava assolutamente convinto che avrei firmato, eppure si comporta come se fosse sollevato.

Si alza, si avvicina a un mobiletto rosso, prende una bottiglia scintillante piena di un liquido scuro e ne versa un bicchiere. «Bevi questo. Ti aiuterà a rilassarti».

Non voglio sembrare scortese rifiutando, così lo butto giù tutto d'un fiato, cercando di non vomitare quando mi rendo conto che ha il sapore di qualcosa morto nel rum.

«Ora vai, topolina», ordina. Davanti al mio sguardo perplesso, aggiunge: «Il lavoro comincia subito. Vai a iniziare il test con il tuo primo soggetto».

Mi invita a uscire dalla stanza e a tornare nel corridoio bianco. Mi volto giusto in tempo per vedere la porta dissolversi nella parete. Ancora non riesco a capire come funzioni.

«Sono contento che tu abbia deciso di restare», mi accoglie Richard alle mie spalle. Sobbalzo, non aspettandomi che fosse ancora lì.

«Ti mostro lo spogliatoio», prosegue. «Se preferisci puoi tenere i tuoi vestiti, ma te lo sconsiglio. Alcuni dei nostri soggetti non gradiscono certi indumenti, quindi forniamo abiti realizzati in base alle loro preferenze».

Mi guida in una stanzetta poco distante dall'ingresso nel corridoio. Ci sono dieci armadietti e una panca dove immagino di potermi sedere per cambiarmi.

«Ogni armadietto numerato corrisponde alla stanza del soggetto sottoposto ai test. Inizieremo da Numero Uno, quindi se non ti crea problemi, cambiati con ciò che trovi nell'armadietto uno».

«Cosa... dovrei fare esattamente con questo soggetto?» chiedo.

Come al solito, Richard sorride. «Il primo compito è semplice. Devi solo familiarizzare con il soggetto, finché non sarà pronto per il prelievo di sangue. Di solito richiede tempo: la nostra ultima specialista ha impiegato tre settimane».

Annuisco. Lui si gira per tornare nel corridoio. «Scegli pure se vuoi cambiarti. Ti aspetterò davanti alla porta numero uno».

Appena rimango sola, apro l'armadietto e aggrotto le sopracciglia. All'interno ci sono una gonna a tubino nera, lunga fino al ginocchio, e una camicetta bianca. Richard parlava come se mi sarei sentita a disagio, ma questo sembra un normalissimo completo da ufficio.

Mi cambio in fretta, sorpresa che tutto mi stia alla perfezione. Ok, forse la scollatura profonda mette in mostra il seno più del previsto, ma posso accettarlo.

Esco dallo spogliatoio e raggiungo Richard davanti alla porta numero uno. Lui giocherella con le chiavi, sbirciando nella fessura tra la porta e il muro, come se stesse controllando qualcosa.

«Questo è il nostro soggetto più facile. Molto docile. Sono sicuro che riuscirai a ottenere il sangue in poco tempo. Se hai bisogno di me, sarò in clinica». Mi porge una piccola ciotola con gli strumenti necessari. «Oh, e... Cat?»

«Sì?» Lo guardo in attesa.

«Cerca di non urlare quando lo vedrai per la prima volta. La tua mente sarà sconvolta, ma ti assicuro che nessuno qui dentro ti farà del male».

Adesso sono più preoccupata che mai, ma deve esserci un motivo per tutta questa segretezza. Ho firmato il contratto. A questo punto posso solo andare avanti.

Richard mi consegna la chiave e mi lascia sola.

Faccio un respiro profondo. Poi inserisco la chiave nella serratura, la giro e apro la porta quel tanto che basta per infilarmi dentro.

Appena poso gli occhi sul soggetto, sussulto.

Cosa. Diavolo. È???

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