Marie Rose
SIENNA-ROSE
Occhi Azzurri aveva le mani intorno alla mia vita, ma ciò che mi sorprese di più fu il formicolio che si diffuse su tutta la mia pelle. Mi sentivo bene tra le sue braccia; non mi faceva rabbrividire di terrore quando mi toccava.
"Stai bene, Sienna-Rose?" Non riuscivo a rispondere perché non ne ero sicura nemmeno io.
Fisicamente sì, stavo bene fino a un certo punto, ma mentalmente ero un disastro. Feci un leggero cenno con la testa perché non ero sicura di potermi fidare della mia voce in quel momento.
"Sono Damien Black. Ti ho vista prima al bar. Hai anche servito me e i miei uomini nella sala VIP". Non c'erano emozioni sul suo volto, ma se lo guardavi abbastanza da vicino potevi vedere della rabbia ribollire.
Sapevo esattamente chi fosse; non era mai stato lontano dalla mia mente per tutto il giorno. Era buffo come funzionava la vita, davvero. Ti lanciava nuove persone quando ne avevi più bisogno. Iniziai a credere che fosse proprio così che funzionava il destino.
"Sei il nipote di Sophie, vero? Mi ha già parlato un po' di te, ma sembra che anche tu abbia fatto le tue ricerche. Mi hai chiamato Sienna-Rose, non solo Rose, e, se la memoria non mi inganna, non ti ho detto il mio nome stamattina".
Sembrava un po' contrariato. Non sapevo se fosse per quello che avevo detto sul fatto di sapere già qualcosa di lui o per il fatto che sapevo che aveva fatto ricerche su di me.
Sul suo volto si stampò un sorrisetto, secondo me dovuto al divertimento per la situazione che si stava creando tra noi. Sapevamo di essere entrambi abbastanza intrigati da chiedere informazioni l'uno sull'altra, ma non eravamo pronti ad ammetterlo.
"Beh, è il tuo nome, no? Non capisco perché non lo usi per intero, angelo. È un nome bellissimo, ti si addice".
Sentii il sangue salirmi alle guance: essere una diciannovenne con un dio greco in carne e ossa davanti a me faceva sì che strane emozioni iniziassero a turbinarmi nel petto.
Finalmente, la mia vista si schiarì abbastanza da permettermi di guardarlo negli occhi, ma, non appena lo feci, fu come se un interruttore scattasse nella sua testa.
I suoi occhi si indurirono quando vide quello che presumevo fosse un brutto segno rosso, senza dubbio l'ennesimo livido sulla mia guancia causato dal pugno che Marcus mi aveva dato pochi istanti prima.
Nei suoi occhi turbinavano rabbia e delusione.
Non sapevo perché, ma il fatto che mi guardasse con quello sguardo mi faceva sentire debole, come se fossi stata io ad averlo involontariamente deluso in qualche modo.
I miei occhi guardarono a terra. Non potevo sopportare di reggere quello sguardo, sapendo che la verità era che fossi una debole e una delusione. Non ero nemmeno riuscita a combattere Marcus e scappare.
Appoggiò l'indice e il pollice sul mio mento per sollevarmi il viso e vederlo meglio.
I suoi occhi si indurirono ulteriormente e non potei vedere altro che pura rabbia in essi.
La delusione era sparita e non c'era altro che rabbia pura e concentrata.
Dopo aver fissato il mio viso, iniziò a valutare il resto del mio corpo alla ricerca di altre ferite e, ogni volta che ne incontrava una, il suo volto si induriva ulteriormente.
Il suo pollice iniziò ad accarezzarmi il viso; per qualche motivo era confortante e non riuscivo a capire perché.
Non avevo intenzione di lamentarmi. Dopo la notte che avevo passato, avevo bisogno di ogni grammo di conforto possibile; il cielo sapeva che non lo avrei avuto a casa dai miei genitori.
Quando i miei occhi si incontrarono di nuovo con i suoi, erano ancora pieni di rabbia e avrei giurato di sentirlo sussurrare a se stesso: "Lo ammazzo per aver toccato ciò che è mio".
Cosa aveva toccato di suo? Cercai di pensare a tutto ciò che Marcus avrebbe potuto toccare, ma non riuscii a trovare una risposta adeguata; ovviamente non ero io, io non ero sua.
I suoi occhi cominciarono ad ammorbidirsi più mi guardava. Mi resi conto che si trattava di una posizione troppo intima per due perfetti sconosciuti, così mi raddrizzai e feci un piccolo passo di lato per creare una piccola distanza tra noi.
Un'espressione accigliata sostituì la sua espressione precedente e per qualche motivo mi sentii in colpa per avergli causato disagio.
"Grazie per avermi salvata, Damien". Mi fece un piccolo sorriso e un cenno come per dire: "Prego".
"Probabilmente dovrei prendere le mie cose e andare a casa. Grazie ancora".
Mi voltai e cominciai ad avvicinarmi alla porta sul retro. Ogni fibra del mio corpo mi faceva male e la mia vista era ancora un po' confusa, ma non potevo fermarmi: dovevo andare a casa e dormirci su.
Quando la mia mano toccò la maniglia della porta, sentii Damien in sottofondo.
"Ti salverò sempre, Sienna".
Con un piccolo sorriso, mi diressi verso la stanza sul retro, presi le mie cose e mi cambiai per uscire.
Non sapevo perché mi sentissi come una scolaretta che faceva la fangirl per un semplice ragazzo, ma sapevo di essere attratta da lui; il mio corpo me lo diceva praticamente ogni volta che mi stava vicino.
Era come se una forte energia entrasse nel mio corpo e mi attirasse verso di lui ogni volta che ne aveva la possibilità.
Scacciando quelle sensazioni, mi avviai verso l'ingresso principale con la borsa in spalla. Il solo pensiero della camminata verso la fermata dell'autobus mi provocava un inspiegabile dolore ai muscoli, ma, nonostante ciò, iniziai ad avviarmi.
Prima fossi arrivata, prima sarei stata a casa e sarei riuscita a dormire.
Prima di riuscire a fare soli cinque passi fuori dal locale, un'auto si fermò accanto a me. Possibile che non riuscissi mai ad avere una pausa?
Il finestrino si abbassò e mi ritrovai davanti il volto di uno degli strani ragazzi della sala VIP sul sedile del passeggero. Damien era al posto di guida.
Ero sicura che il passeggero fosse lo stesso ragazzo in piedi all'ingresso del vicolo, ma non ne ero certa.
"Hai bisogno di un passaggio a casa, angelo?" Damien rallentò l'auto per seguire il mio passo.
"Prendo l'autobus, non c'è problema". Non sembrò molto soddisfatto di quella risposta.
L'auto si fermò completamente sul ciglio della strada e il ragazzo sconosciuto scese e si sedette sul retro dell'auto. La testa di Damien sbirciò fuori dal finestrino e mi lanciò lo sguardo più intimidatorio che avessi mai visto.
"Sali in macchina, angelo, ti porto a casa. Non credo che prendere l'autobus dopo la notte che hai appena passato sia una buona idea".
Aveva ragione, ero ancora un po' scossa per quello che era successo poco tempo prima. Un brivido mi attraversò il corpo e sentii le lacrime formarsi al solo pensiero di cosa sarebbe potuto succedere.
Non volevo ripetere gli eventi di quella notte, quindi decisi che era meglio chiedere un passaggio a Damien. Non pensavo che mi avrebbe fatto del male: se avesse voluto, ne avrebbe avuto l'occasione prima.
Salii in macchina, posai la borsa tra i miei piedi e dissi a Damien il mio indirizzo. Lui mi fece un piccolo sorriso rassicurante e si mise alla guida.
Procedemmo in silenzio per circa cinque minuti, ma non durò molto, perché il biondino dietro decise che era il momento perfetto per iniziare una conversazione.
Guardò Damien attraverso lo specchietto retrovisore, come se si aspettasse che dicesse qualcosa.
"Beh, se non vuoi presentarmi, lo farò io. Ciao, sono Cole, il migliore amico di questo stronzo. Volevo solo dirti che lo spettacolo che hai fatto nella sala VIP è da ricordare. Dove hai imparato a farlo?"
Mi ero quasi dimenticata di quello che era successo nella sala VIP, finché Cole non me lo aveva ricordato. Quella serata era stata solo un gran casino; se mai avessi dovuto individuare un momento in cui la mia fortuna si era esaurita, sarebbe stata quella sera.
Scrollai le spalle. "Succede spesso, davvero. Ogni giorno devo dire ad almeno cinquanta uomini e a volte anche a qualche donna di tenere le mani a posto. Quindi ho fatto molta pratica".
Damien sembrava che stesse per uccidere il volante: le sue nocche erano diventate bianche. Ma non volevo dire nulla, nel caso in cui avesse rivolto la sua rabbia contro di me.
L'auto divenne silenziosa dopo quel momento. Nessuno disse più niente, ma a me piaceva il silenzio; mi dava la possibilità di pensare alle ultime due ore. Non era stata proprio la mia serata.
Non molto tempo dopo, l'auto si fermò davanti a casa mia. Non era chissà che, ma era abbastanza e, senza perdere tempo, presi la mia borsa, aprii la portiera e saltai fuori.
Mi voltai di nuovo per guardare Damien. Il suo volto non conteneva alcuna emozione; era come un libro che non riuscivo a capire, probabilmente perché cambiava sempre.
Anche se ci eravamo incontrati solo un paio di volte, non aveva fatto finta di niente. Ma l'unica volta in cui avevo visto una vera emozione era stato quando aveva visto i miei lividi. Era come un puzzle e qualcosa mi diceva che alcuni pezzi non combaciavano.
"Grazie per il passaggio. Ti ringrazio per tutto quello che hai fatto per me stasera". Gli feci un sorriso e mi diressi verso casa nel modo più silenzioso possibile.
Non volevo pensare alle conseguenze dello svegliare il mio cosiddetto padre a quell'ora della notte. Mi diressi verso i gradini di ingresso, ma mi fermai immediatamente quando vidi che la lampada del soggiorno era accesa.
Nessuno avrebbe dovuto essere sveglio a quell'ora del mattino.
Con grande cautela sbirciai e vidi mio padre seduto sulla sedia che guardava verso di me.
I miei polmoni smisero improvvisamente di funzionare quando i suoi occhi incontrarono i miei; non era come quando Damien aveva incontrato il mio sguardo. Era spaventoso e intimidatorio, per niente accogliente. Mi aspettava una lunga notte.