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La lupa dei russi

Capitolo 3

Viktor

Seduto su uno sgabello con la schiena contro il bancone, osservavo la stanza intorno a me. Provavo un senso di claustrofobia: non ero abituato a stare al chiuso per un lungo periodo di tempo.

Me ne stavo con il gomito appoggiato sul piano del bar e accanto a me una bottiglia di birra che mi avevano servito prima ancora che il mio didietro toccasse lo sgabello imbottito.

Avevo già assaggiato la birra e conoscevo i suoi effetti sulla mente, quindi ero riluttante a bere.

Anche se la maggior parte dei lupi aveva bisogno di consumare il proprio peso in quella roba prima di arrivare a inebriarsi, volevo avere le idee chiare per un paio di notti mentre il mio branco si sistemava e io controllavo il territorio.

La stanza era invasa da luci scintillanti e da una serie di decorazioni natalizie.

Un albero di Natale alto due metri, ricoperto di orpelli e ninnoli e sormontato da una stella splendente, si trovava sulla sinistra nella stanza.

Il branco del Montana era stato accogliente fino a quel momento, ma in quanto alfa del mio branco, era mio compito stare in allerta per tutta la durata del nostro soggiorno.

Il numero di adulti all'interno del mio branco stava rapidamente diminuendo, con le femmine che morivano durante il parto e i cacciatori che sembravano essere sempre un passo avanti, facendo fuori i più deboli di noi.

Quando ricevetti la notizia dall'alfa del branco del Montana che ci invitava a unirci a loro per qualche settimana durante il periodo natalizio, come avrei potuto rifiutare?

I membri del mio branco erano esausti e avevano bisogno di un posto sicuro dove trovare rifugio e proteggere i cuccioli. Due piccoli del mio branco mi passarono accanto, ridendo insieme ai cuccioli del branco del Montana.

Eravamo qui solo da un paio d'ore, ma il branco si era ambientato, i cuccioli correvano spensierati e i genitori si rilassavano e conversavano sorridendo. Nessuno era vigile tranne me, ma quello era il mio lavoro.

Le risate attirarono la mia attenzione verso la pista da ballo, dove le coppie si muovevano a ritmo di musica e invitavano gli altri, compreso il mio branco, a unirsi a loro.

Osservai stupito i miei compagni buttarsi a capofitto, senza esitazioni, con grandi sorrisi sui loro volti.

Era da molto che non vedevo i loro sorrisi. In natura vivevamo in un costante stato di paura. Non ridevamo mai, parlavamo raramente ed esistevamo e basta.

Costantemente in attesa che il prossimo venisse ucciso dai cacciatori. Cosa non avrei dato per avere una città come questa. Un posto in cui il mio branco si sentisse al sicuro, un posto da chiamare casa. Dove potessero trasformarsi e correre liberamente.

Un tempo il nostro branco dominava le vaste foreste della Russia. Branchi da tutto il paese ci cercavano e si univano a noi in molte celebrazioni.

Ci accoppiavamo, generavamo nuove vite e cambiavamo branco liberamente. Prosperavamo. Finché gli esseri umani non ci scoprirono, ci bollarono come demoni e iniziarono a darci la caccia.

Ben presto i branchi smisero di farci visita e i membri del nostro stesso branco smisero di tornare a casa. Quando i cuccioli iniziarono a essere catturati, ce ne andammo.

Trovammo una nuova casa dopo l'altra, arrivammo al punto di percorrere chilometri senza riuscire a sentire l'odore di un altro mutaforma - nessuno che fosse vivo, comunque.

Il mio branco, che all'epoca era forte di sessanta esemplari, non ebbe altra scelta che cercare un passaggio su una nave e così finimmo in America.

Non eravamo gli unici. Alcuni mutaforma solitari salirono a bordo e raccontarono dei loro branchi un tempo potenti, ora estinti. Avevo sentito parlare di branchi in fuga, rifugiatisi nel cuore delle foreste pluviali.

Alcuni lupi avevano accettato di restare con noi all'arrivo in America. 'L'unione fa la forza' divenne il mio nuovo mantra.

Ma la situazione si fece disperata. Quando divenne evidente che i lupi erano fuggiti dalla Russia, i cacciatori li seguirono a stretto giro. Sembrava che per ogni nuovo lupo che si aggiungeva, ne perdessimo altri due.

I membri del branco avevano messo la loro vita nelle mie mani. Non avevano mai attaccato la mia posizione. Eravamo una famiglia.

"Sono onorato che tu abbia accettato il nostro invito a trascorrere il Natale con noi, Viktor". L'alfa del branco del Montana si sedette su uno sgabello da bar accanto a me.

I nostri cammini si erano incrociati circa vent'anni prima, quando eravamo ancora in Russia. Nick era alla ricerca del figlio che, a quanto pare, era scappato con una femmina di un branco rivale.

Avevo sentito che Nick era riuscito a trovare suo figlio, ma purtroppo i cacciatori lo avevano battuto sul tempo.

Mi voltai verso l'alfa e lo fissai dritto negli occhi. Gli alfa non si inchinavano l'uno all'altro abbassando lo sguardo e io non l'avrei fatto questa volta, anche se l'aura di Nick parlava chiaro sul tipo di potere che albergava dentro di lui.

"Ti ringrazio per averci invitato, Nick. Temo che il tuo invito sia arrivato proprio al momento giusto. Il mio branco è allo stremo". Feci una pausa, poi continuai. "Mi è dispiaciuto molto sapere di tuo figlio, Nick.

Io e il mio branco saremmo venuti a porgere le nostre condoglianze, ma non eravamo in America in quel momento".

Un'espressione di dolore attraversò il volto dell'altro alfa. "I cacciatori li hanno uccisi entrambi di notte mentre dormivano.

Siamo arrivati la mattina dopo, troppo tardi". Nick non distolse lo sguardo e capii perché: un lupo dominante non distoglieva mai lo sguardo per primo.

Agli occhi degli osservatori, sembrava che fossimo impegnati in una gara di sguardi, ma non c'era alcun imbarazzo tra noi. Era semplicemente la natura di noi alfa.

Nick non cercò di nascondere il dolore che il solo parlare del figlio defunto gli provocava. "Mio figlio e la sua compagna si stavano rifugiando nelle foreste della Russia con la loro figlia, Anna".

Sospirai e dissi una preghiera silenziosa per un'altra vita presa prima del tempo. "Sono senza cuore, uccidono persino cuccioli innocenti". Digrignai i denti. "Posso solo sperare che lei e i suoi genitori non abbiano sofferto".

Nick sorrise leggermente, anche se sembrava forzato. "Anna è sopravvissuta. Aveva sei anni all'epoca. Mio figlio e la sua compagna avevano creato un seminterrato che era diventato la sua stanza. La porta era nascosta in modo che i cacciatori non la trovassero.

A quanto pare, sapevano fin dall'inizio di non essere al sicuro". Sospirò. "Per fortuna i responsabili sono stati catturati il mese scorso. Hanno sofferto, credimi".

Annuii. Non stentavo a credere a Nick. Perdere un figlio era uno dei più grandi dolori della vita, che non avrei inflitto nemmeno al mio peggior nemico. "Come funziona questa città?

Essendo chiusa agli estranei, come fate a guadagnare abbastanza per mandare avanti le attività? Immagino che gli umani sappiano che siete qui".

Nick mi sorprese distogliendo per primo lo sguardo e sollevando una mano con due dita alzate verso una donna che si trovava dietro il bancone. Immediatamente, ci mise davanti due bottiglie di birra aperte.

La mia birra ormai vuota fu sostituita da quella nuova. Nick mi fece cenno di accettare l'offerta e io lo feci con rispetto. Ne bevvi un piccolo sorso prima di abbassarla. Non ne avrei bevuta altra.

"Prima di stabilirmi qui, il mio branco era numeroso, quasi cento persone. Io e la mia compagna vivevamo in un piccolo villaggio all'interno della città.

Dopo un po' di tempo, gli umani iniziarono a notare che c'era qualcosa di diverso in noi e presero a fare domande.

Fu allora che capimmo che era arrivato il momento di andarcene". Nick si portò la bottiglia alle labbra e bevve metà della birra in un sorso.

"Quando le città cominciarono a diventare sempre più popolate, alcuni di noi rimasero per mesi senza trasformarsi.

Metà del mio branco - me compreso - bramava le foreste, mentre l'altra metà amava la vita di città e si era quasi adattata allo stile di vita umano.

All'inizio non capivo che senso avesse. Cercai di combatterli con le unghie e con i denti, finché alcuni dei maschi non si sono messi in contatto con le comunità circostanti e hanno iniziato ad acquistare complessi residenziali con terreni privati per ospitarci.

Ci trasferimmo insieme in uno di questi, ma non era la stessa cosa: desideravamo ancora la libertà della natura selvaggia. I miei ragazzi fecero delle ricerche e trovarono questo posto.

La foresta in cui ci troviamo è una riserva naturale protetta; il terreno su cui abbiamo costruito la nostra cittadina era una radura, non abbiamo abbattuto nessun albero. Era la soluzione perfetta.

Viviamo qui indisturbati da quasi cento anni. Ci sono umani che sanno di noi e che vivono qui; alcuni lavorano con il mio branco in città.

Siamo una città registrata, ma i documenti rimangono all'interno del mio branco". Con un secondo sorso, finì la sua birra.

"Alcuni del mio branco si avventurano nelle città e visitano le famiglie che hanno deciso di rimanere lì. Anche per lavorare. I più giovani vogliono guadagnare e dare il loro contributo.

Siamo a circa un giorno di cammino dalle altre città, ma abbiamo trovato un percorso che richiede solo poche ore in forma di lupo".

"Il vostro branco è separato? Perché gli altri non si sono uniti a voi qui una volta che vi eravate stabiliti?" Come poteva proteggerli se non era vicino a loro?

"Sono contenti nelle città, si sentono più sicuri. I cacciatori non ci cercano in mezzo alla loro specie. Ci credono dei selvaggi.

A parte il nostro aspetto umano, ci considerano nient'altro che animali. Sappiamo che un giorno verremo scoperti qui. Gli umani si stanno espandendo e non hanno più spazio.

Ma, fino ad allora, questa città è nostra e intendiamo mantenerla tale il più a lungo possibile".

"Cosa è successo alla tua compagna? I cacciatori l'hanno presa?" Chiesi.

Gli occhi di Nick si fecero annebbiati e sofferenti. Scosse la testa.

"È morta poco dopo aver partorito mio figlio, ormai molti anni fa. Ci furono delle complicazioni; successe tutto così in fretta. Ci siamo stabiliti in questa città una settimana dopo la sua morte.

Le sue ceneri sono state sparse nella foresta", disse.

"Mi dispiace per la tua perdita, Nick".

"Viktor", chiamò il mio beta, rompendo il silenzio che era sceso tra me e Nick. Quando mi voltai in direzione della voce di Erik, ci aveva quasi raggiunti.

Dietro di lui c'erano due giovani membri del mio branco: Elise e il suo compagno, David. Elise cullava il loro cucciolo addormentato contro il petto. Vedere il viso sereno del cucciolo mi toccò il cuore.

Un giorno ne avrei avuto uno anch'io e non sapevo se desiderare quel giorno o temerlo. Se fosse successo qualcosa al mio cucciolo, il dolore mi avrebbe consumato.

Il petto di Erik mi bloccò la visuale.

"Alfa Nick". Erik fece un cenno con la testa. "Alcuni membri del branco vorrebbero sistemarsi. Elise vorrebbe mettere a letto il suo cucciolo".

"Certamente". Nick si alzò dallo sgabello e posò la bottiglia vuota sul bancone.

"Abbiamo alcune case libere a disposizione e i membri del branco hanno aperto le loro case per ospitarvi. Vi faccio fare un giro".

"Grazie mille, Nick". Annuii in segno di ringraziamento. Nick annuì a sua volta e poi se ne andò, camminando verso la porta con la coppia al seguito. Avrei voluto seguirli, per proteggerli, ma mi trattenni.

Nick li avrebbe protetti.

Erik si sedette sullo sgabello lasciato libero da Nick e si appoggiò al bancone. La stanchezza segnava i suoi lineamenti. "È stata una lunga giornata, vecchio mio. Non vedo l'ora di passare una notte tranquilla".

Stavo per dargli ragione quando un odore delizioso mi stuzzicò le narici. Quel profumo mi provocò subito un rigonfiamento contro la cerniera dei jeans.

Con la coda dell'occhio, notai che anche Erik lo stava annusando. I suoi occhi cercavano freneticamente la fonte dell'odore.

Una donna alta con i capelli corvini si avvicinò a noi da dove Nick era appena uscito e, più si avvicinava, più l'odore diventava forte.

Arrivò a un metro da noi e ci tese la mano in segno di saluto, il suo sguardo si muoveva tra il mio e quello di Erik. Un nodo alla gola mi impediva di parlare.

"Buonasera, alfa Viktor. Sono lieta che tu ti sia unito a noi per le vacanze. Io sono Nina Gerald e sono la beta del branco del Montana". Lasciò cadere la mano, che io non avevo accennato a stringere; a quanto pare, le mie braccia si rifiutavano di funzionare.

Il suo sguardo si allontanò dal mio in segno di sottomissione. L'odore proveniva da lei. Il mio lupo cercò di farsi avanti per annusare la donna per essere sicuro, ma non poteva.

I segni dei morsi sul collo della donna lo dimostravano chiaramente: apparteneva già a qualcun altro. Non poteva essere la mia compagna. Lo sguardo della donna incontrò di nuovo il mio.

"C'è qualcosa che non va?" Alzò le sopracciglia con fare interrogativo.

"Il tuo odore". Erik si alzò dallo sgabello e fece un passo verso la donna. "Hai l'odore della mia compagna".

La sua compagna? "La tua compagna?" Mi alzai in piedi, d'un tratto possessivo. Avrei voluto scaraventarlo a terra, metterlo al suo posto, ma mi trattenni. Se Erik non fosse stato mio amico, però, probabilmente lo avrei fatto.

"Ha l'odore della mia compagna", lo corressi.

"Come, scusa?" Nina chiese, con un'espressione scioccata sul viso. Le sue piccole mani si alzarono davanti a lei come se cercasse di calmare una bestia, esattamente come mi sentivo io in quel momento.

Il mio lupo era così vicino alla superficie e stava lottando per prendere il controllo. Capii che Erik si trovava nella stessa posizione quando lanciai un'occhiata al mio fianco per valutare la concorrenza e la possibile minaccia.

Gli occhi di Erik si erano trasformati nelle iridi gialle del suo lupo. "Non sono la vostra compagna", protestò Nina.

"Vedo che sei marchiata. Chi è lui?" Digrignai i denti per la frustrazione. Chiunque fosse, l'avrei ucciso e poi avrei preso la mia compagna per me.

"Alfa Viktor, un lupo mi ha morso durante un rapporto sessuale decenni fa. È stato un incidente ed è morto poco dopo".

"Bene", la mia voce era profonda e roca e mi feci avanti, con i denti che diventarono affilati dal bisogno di reclamarla.

"Fermati". Le mani di Nina mi toccarono il petto. "Sono accoppiata, ma con un umano!"

Mi bloccai e feci un respiro profondo per calmarmi. Era accoppiata con un umano? La mia mente annebbiata si schiarì un po' e imposi al mio corpo rigido di rilassarsi, anche se un'appendice si rifiutava di farlo.

Una volta calmo, parlai a voce bassa. "Vorrei annusarti. Posso?" Lei abbassò le mani dal mio petto e annuì una volta. Chiusi la distanza tra noi e feci un respiro profondo per inalare il suo odore.

Apparentemente aveva ragione. Non era la mia compagna, ma l'odore della mia compagna era sui suoi vestiti.

"Non è lei", dissi ad alta voce.

Voltandomi verso Erik, ripresi: "L'odore proviene da qualcuno con cui ha avuto un contatto fisico molto recente". Mi voltai di nuovo verso Nina e sollevai un sopracciglio interrogativo; lei aveva un'espressione perplessa.

"Sono venuta direttamente qui. Ero nella foresta quando ho sentito il vostro arrivo".

"Eri da sola?" Gli occhi di Erik cercarono i suoi. La donna, ora arrabbiata, lanciò un'occhiataccia al mio beta. Era un peccato che non fosse la mia compagna. Sembrava forte e felice di sostenere gli sguardi miei e di Erik.

Nina distolse lo sguardo solo per educazione. Esitò, poi sgranò gli occhi, sconvolta.

"No". Deglutì visibilmente. "Ero con mia nipote, Anna".

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