Inviti irresistibili - Copertina

Inviti irresistibili

S.S. Sahoo

Capitolo 6

ZACHARY

"Andate a cercarlo!" Ordinai ai miei ragazzi. Senza perdere altro tempo, tutti corsero fuori dalla stanza, alla ricerca della persona che volevo davanti a me a ogni costo.

Ero stanco e mi sentivo irrequieto perché non dormivo da due giorni.

Dopo la conversazione con quella donna, mia moglie, ero tornato nella mia stanza per riposare un po'. Ma il destino mi aveva portato un nuovo problema.

Un bel problema.

Sospirai, appoggiandomi al muro e passandomi una mano tra i capelli.

Se c'era una cosa che stava cambiando, nella mia vita, era la pazienza.

Ultimamente stavo diventando impaziente e con il tempo questa impazienza si stava trasformando in rabbia. Non potevo sopportare neanche un solo essere umano che non lavorasse secondo le mie regole, figuriamoci quelli che agivano contro di me.

Avrei sparato a quella persona dritta in testa, senza darle nemmeno il tempo di spiegarsi o di salvarsi.

Giorno dopo giorno, diventavo un uomo sempre più violento, ma non me ne importava nulla. Mi interessavano solo le mie regole e il fatto che le cose dovessero sempre andare a modo mio.

Gli scenari imprevisti mi irritavano immensamente e finivano con la morte delle persone che causavano questi disordinati cambi di piani.

Lo squillo del telefono mi distolse dai miei pensieri.

"Non di nuovo!" Mormorai prima di rispondere alla chiamata, anche se avrei voluto disperatamente rifiutarla.

"Cosa c'è?"

"È questo il modo di parlare con tuo padre?" Chiese mio padre, dall'altro capo del telefono, con il suo solito tono freddo da uomo d'affari.

"Non ho tempo per queste stronzate. Dimmi, cosa vuoi?"

Rimase in silenzio per qualche istante, prima di farmi la domanda che avevo previsto.

"Ho sentito che ti sei sposato. È vero?" Mi chiese con un tono calmo. Io potevo percepire una punta di rabbia nella sua voce.

Mi sfregai la fronte e mi passai una mano tra i capelli.

"È vero?" Chiese una seconda volta, spazientito.

"Sì, è vero". Enunciai e alzai gli occhi al cielo. Mi preparai all'arrivo delle lamentele.

"Posso chiederti cosa ti ha spinto a sposarti così di fretta da non pensare nemmeno di informare i tuoi genitori, per non parlare di invitarli?" Domandò, con la voce piena di rabbia.

Scelsi di rimanere in silenzio, perché sapevo che non avrebbe capito, accecato dalla sua rabbia.

Lo sentii fare un sospiro profondo prima di continuare.

"Chi è questa ragazza?" Mi chiese, in tono calmo.

"Non c'è bisogno che tu lo sappia", risposi io, mentre aprivo il cassetto e tiravo fuori il mio iPad.

"Io devo sapere tutto quello che fai e voglio saperlo il prima possibile. Si tratta di mio figlio, che ora gestisce la mia attività. E, se pensi di essere tu il capo, ti sbagli.

"Io sarò sempre il vero capo e tu sei il mio unico erede. Tutto ciò che potrebbe ostacolare i miei anni di duro lavoro, quindi, sarà sempre una mia preoccupazione. Non ti permetterò di rovinare tutto. E il fatto che tu sposi una donna come quella è di certo un mio problema".

Riposi l'iPad sul tavolo, perché le sue parole mi avevano colpito.

"Quello che faccio o che non faccio non ti riguarda, né ora, né mai. Smettila di preoccuparti degli affari, perché ora sono io a governare.

"Sei in pensione. Vai a farti una vacanza su qualche isola con la mamma. Posso occuparmi di tutto io, da solo. Smettila subito di interferire".

Riattaccai e gettai il telefono sul tavolo.

Ogni volta che parlavo con lui mi veniva il mal di testa.

"Signore?" Alzai lo sguardo e vidi uno dei miei uomini in piedi sulla porta, con una pistola in mano.

Alzai un sopracciglio. "Cosa c'è?"

"Abbiamo trovato un sospettato. È nel seminterrato. Penso che debba occuparsene subito", rispose. Io uscii dalla stanza e lui mi seguì.

"Chi è?" Chiesi, mentre entravamo in una stanza segreta dopo aver digitato il codice sulla parete. La porta si aprì e così entrammo in un corridoio buio. Tutto ciò che riguardava la mia casa era segreto. Era sempre stato così.

Erano i vantaggi di essere un boss mafioso.

Il mondo non lo sapeva. Io ero solo un semplice miliardario con un'attività di successo, per chi non conosceva il vero Zachary Udolf Sullivan.

Il mio secondo nome, Udolf, significa "lupo", il che si adatta perfettamente alla mia personalità.

Mi era stato dato da mio nonno, che viveva su un'isola privata e si godeva la vecchiaia con la nonna e i miei cugini, senza volerne sapere niente della mia relazione con il mondo della mafia.

Mia nonna voleva che i miei cugini vivessero come esseri umani normali, lontano da tutta quella violenza.

Aveva cercato persino di dissuadere me da tutto ciò, ma io, essendo l'unico erede di quel grande leader mafioso che era mio padre, ero tenuto ad assumermi questa responsabilità.

Per questo motivo vivevo una doppia vita: ero un uomo d'affari di successo che si era guadagnato la sua fama, ma ero anche un boss mafioso, coinvolto in attività illegali e che dominava la clandestinità.

In qualche modo ero riuscito a vivere entrambe le vite, ma non sapevo per quanto tempo sarei riuscito ad andare avanti. Prevedevo che un giorno o l'altro la mia vera identità sarebbe uscita allo scoperto e non sapevo come affrontarlo.

Per il momento mi concentrai solo sulla giornata in corso.

In fondo, non avevo proprio un futuro roseo.

Invidiavo mio nonno. Anche lui era un boss della mafia e, oserei dire, molto temuto. Aveva terminato la sua carriera trasferendo l'incarico al suo erede, mio padre, ma non l'aveva fatto in modo normale.

Per il resto del mondo, il leader mafioso più ricercato e temuto, Avim Ben Gon, era stato ucciso dalle forze dell'ordine durante un incontro di pace.

Quegli sciocchi non sapevano nemmeno che era stato tutto pianificato fin dall'inizio. Per il nonno si trattava della sua pensione e, ovviamente, non poteva andare in pensione come un normale impiegato. Doveva fare un'uscita in grande stile, cosa che aveva fatto.

E ovviamente Avim Ben Gon, un nome ebraico, era il suo pseudonimo. Il suo vero nome era...

Beh, non è importante, per il momento.

Avevo sentito molte cose su Avim, soprattutto su quanto fosse spietato e su come uccidesse la gente. A volte dicevano anche che violentasse le donne.

Mia nonna, però, mi aveva detto che il nonno era l'uomo più dolce che avesse mai conosciuto e che quelle erano solo dicerie per incutere timore nella mente delle persone.

Il nonno aveva sempre rispettato le donne ed era per questo che lei si era innamorata di lui e aveva deciso di condividere il resto della sua vita.

Se non fosse stato per mia nonna, io stesso avrei creduto a tutte quelle voci. Essere un boss della mafia non era facile. Avevamo bisogno di una sola cosa: il potere.

Il potere faceva sì che le persone ci temessero, permettendoci di governare su di loro.

"È uno dei suoi uomini, signore. Lo abbiamo trovato oggi nel nostro territorio. Probabilmente era qui per ottenere informazioni sulle nostre mosse", disse e io annuii.

Credevo di aver trovato un modo per liberarmi dal mal di testa. Avevo sofferto abbastanza.

Per quanto riguarda la violenza, mi aveva sempre entusiasmato.

Era ora di bearmi della paura negli occhi di quell'uomo, che pensava di potermi spiare.

"Oh, che stupido!" Sorrisi, mentre assistevo allo spettacolo che mi si parava davanti.

Un uomo penzolava dal soffitto, con le mani legate e gli occhi coperti da una benda.

Era già stato picchiato e del sangue gli colava dalla testa e dagli avambracci.

"Beh, salve!" Parlai dall'oscurità, entrando nella stanza poco illuminata verso la mia preda, che al suono della mia voce mugolò.

"Spero che tu abbia trascorso una bella giornata finora!" Fu il mio unico commento, mentre mi avvicinavo a lui.

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