
Soggetto sperimentale
Dieci porte. Dieci mostri. Dieci sessioni di raccolta dati interattiva. Con un dottorato al MIT e prestiti studenteschi schiaccianti, Cat Woods accetta un lavoro sospettosamente ben pagato per “raccogliere campioni” da creature in un laboratorio sotterraneo dedicato allo STEM (Sesso, Tecnologia, Esperimenti e Mostri). Cat dovrebbe essere terrorizzata… allora perché non vede l’ora di aprire la porta successiva?
Attenzione ai contenuti: penetrazioni non convenzionali, fluidi (vari), dati eiaculativi, sfregamento anale, bodymorpherotica, peni di dimensioni impossibili.
Una nuova vita
Libro 1: Soggetto sperimentale #1
Cerco cautamente di afferrare la piccola rana che dovrei sopprimere per il mio prossimo esperimento. Si dimena e mi sfugge, come tutte le altre con cui ho avuto a che fare.
Come xenobiologa, questo è un aspetto cruciale del mio lavoro, anche se lo detesto. Devo uccidere questa povera creatura per portare avanti una ricerca che probabilmente non porterà a nulla di concreto.
Sospiro e tento di nuovo di acchiappare quell'esserino scivoloso. All'improvviso, salta proprio sul dorso della mia mano. Rimango immobile per un istante. Mi fissa dritto negli occhi, come se avesse intuito le mie intenzioni.
Lentamente, giro la mano. La rana si sposta sul mio palmo, continuando a guardarmi.
«Ehi, piccolina», mormoro, accarezzando delicatamente la sua testa minuscola. «Non vorrei davvero farlo».
Ovviamente non ricevo risposta, solo un gracidio sommesso. Eppure sembra quasi... una supplica. Mi guardo intorno per assicurarmi di essere sola.
Prendo una scatola da un armadietto e pratico alcuni fori sul coperchio, poi infilo la rana all'interno.
«Ti salverò. Sei fortunata, piccola! Sei una specie locale, quindi è tutto a posto». Il verde animaletto emette un altro gracidio. «Non vogliamo di certo una specie invasiva in giro. Ma oggi è il tuo giorno fortunato».
Durante la pausa pranzo – dopo aver portato di nascosto la rana fuori dall'ufficio e averla liberata nel parco, a pochi isolati di distanza – mi siedo con alcuni colleghi xenobiologi.
Non fanno che parlare dei grandi risultati dei loro ultimi esperimenti. Urgh.
«E tu, Catherine? Qualche importante scoperta, di recente?» chiede Sam, un giovane scienziato.
«Macché», rispondo. Lui mi fissa perplesso, come se fosse inconcepibile che qualcuno non voglia vantarsi di aver soppresso delle rane. «Ultimamente mi annoio», spiego. «Ho l'impressione che il mio lavoro non porti da nessuna parte».
«Beh, forse è solo che i piani alti non ti hanno ancora notata», interviene Jasmine, un'altra collega. «Non come Rachel. Era di una bellezza mozzafiato e attirava così tante attenzioni che alla fine le hanno offerto una promozione super segreta».
«Rachel? Non l'ho mai conosciuta. Cosa è successo?» domando incuriosita.
«Nessuno lo sa. Ma a quanto pare, i vertici stanno investendo parecchio in quei progetti».
Ho appena finito il mio turno quando sento il telefono vibrare.
Sospiro ed elimino il messaggio. Era solo un'avventura di una notte, ma a quanto pare quel tizio non l'ha capito. Non sono interessata a una relazione, né tantomeno ad amici di letto.
A questo punto sto iniziando a pensare di essere asessuale. Insomma, sono attratta dal sesso, ma non provo mai vero piacere nel farlo. La scorsa notte non ha fatto eccezione.
Raccolgo le mie cose, ripongo il camice e mi dirigo verso l'ascensore. L'edificio è silenzioso; la maggior parte dei colleghi se n'è già andata, ma dato che io non ho famiglia, né legami, né impegni al di fuori del mio lavoro, resto sempre fino a tardi.
I miei tacchi risuonano nei corridoi vuoti, e mi guardo intorno con curiosità. Forse, senza nessuno nei paraggi, potrei intrufolarmi nei misteriosi livelli inferiori. Ma... se sono segreti, come ci si arriva?
«Signorina Woods?»
Sobbalzo, sentendo una voce profonda alle mie spalle. Mi volto e vedo un addetto alla sicurezza, con indosso un paio di occhiali da sole – nonostante fuori sia già buio – e un auricolare all'orecchio.
«Sì?» domando con cautela.
«Il signor Sire desidera parlarle». Indica un ascensore diverso da quello che uso di solito. Signor Sire? Che razza di nome è?
Non ho motivo di rifiutare, anche se la situazione è un po' inquietante, così annuisco e lo seguo.
Appena iniziamo a scendere, avverto un brivido di eccitazione. Sembra che riuscirò a vedere quei famigerati livelli inferiori, dopotutto. Ma l'euforia si trasforma presto in ansia. Perché proprio io? Perché adesso? Ho fatto qualcosa di sbagliato?
«Ehm... chi sarebbe il signor Sire?» chiedo sottovoce.
La guardia mi fissa confusa. «Il suo capo».
Spalanco gli occhi. Non ho mai sentito nominare nessun "signor Sire", e di certo non è il mio capo! Il mio responsabile è il signor Rudens. Ma forse... questo signor Sire è il superiore del signor Rudens?
Oddio, sono nei guai? Non credo di aver combinato nulla per irritare il grande capo. A parte forse aver fatto qualche domanda di troppo sul progetto del seminterrato.
Non dico più una parola finché non raggiungiamo il piano più basso. Molto al di sotto del livello del suolo. Le porte si aprono sulla più totale oscurità. Deve essere questo il posto!
Comincio a farmi prendere dal panico e provo a restare nell'ascensore, ma la guardia mi afferra per un braccio. Sono alta solo un metro e sessantotto, quindi non deve nemmeno sforzare i suoi muscoli enormi per trascinarmi lungo il corridoio.
Alla fine non cammino neanche più e lascio che mi tiri, finché non arriviamo davanti a una porta dall'aspetto minaccioso. L'intero piano è un unico corridoio, completamente buio, che conduce a quella singola porta.
«Entri», ringhia l'uomo.
Non ho scelta. Annuisco e faccio un respiro profondo prima di bussare.
«Avanti», risponde una voce morbida, da dietro la porta. La apro e vedo... niente. I miei occhi impiegano qualche secondo per adattarsi alla penombra.
«Mi... ha fatto chiamare?» sussurro, restando sulla soglia.
Piano piano distinguo una sola finestra in fondo alla stanza. Un momento... non è una vera finestra. È uno schermo che mostra una finta vista di un cielo stellato.
L'illusione è ottima, e potrei anche cascarci se non fosse per il lieve ronzio elettrico che emana.
Davanti alla "finestra" c'è un uomo girato di spalle. È molto alto, almeno tre spanne più di me.
«Si avvicini pure, signorina Woods. Non abbia paura». La sua voce è calda e rassicurante. Mi indica una sedia. Faccio qualche passo e mi accomodo.
«Sono il signor Sire. Di certo non avrà mai sentito parlare di me, ma sono il proprietario di questa struttura». Si volta completamente verso di me, e io non posso fare a meno di squadrarlo dalla testa ai piedi.
È snello ma muscoloso, e incredibilmente attraente. I lineamenti sono marcati, ma i suoi occhi gentili, di un azzurro profondo, mi guardano con dolcezza e calore. Con quella luce non saprei dire se i capelli siano neri o solo di un castano molto scuro.
«Ho fatto qualcosa di sbagliato?» azzardo. Lui sorride e si accomoda. Pur essendo entrambi seduti, devo sollevare il mento per incrociare il suo sguardo.
«Al contrario». Sorride di nuovo. «Ho osservato il suo lavoro e sono molto soddisfatto.
Abbiamo molti xenobiologi qui, ma nessuno possiede la sua... curiosità. L'ho vista lavorare con grande dedizione per comprendere a fondo i suoi soggetti di studio. E allo stesso tempo li tratta con gentilezza e oserei dire... pietà?»
«Più che altro compassione», lo correggo.
Lui annuisce, sembrando apprezzare la precisazione.
«Ho una proposta per lei. Lavorerà qui sotto». Indica una porta alle sue spalle, che non avevo nemmeno notato.
«Avrà un laboratorio tutto suo, un budget da gestire a sua discrezione e un orario flessibile. Lavorerà per lo più da sola, ma occasionalmente incontrerà altri membri del personale.
Guadagnerà il doppio del suo stipendio attuale. Avrà accesso alla migliore assistenza medica, completamente a carico dell'azienda. Potrà persino vivere gratuitamente in questa struttura, se lo desidera, con personale di servizio a sua disposizione».
Sbatto le palpebre un paio di volte. Dev'essere uno scherzo. «Mi sta... prendendo in giro?»
Lui inarca le sopracciglia. «Posso triplicare lo stipendio». Prima ancora che io riesca ad aprire bocca, rettifica: «Va bene, quattro volte tanto. Ultima offerta».
«È più che sufficiente!» esclamo. Lui sorride, annuendo. «Ma... perché?» chiedo con cautela. «È pericoloso?»
«Il suo lavoro è sempre stato pericoloso, signorina Woods».
«Mi chiami pure Cat».
Il suo sorriso si allarga. «Una semplice puntura di un insetto tossico o il morso di un serpente velenoso... e saresti spacciata». Si sporge in avanti, intrecciando le dita. «Non sembravi preoccupata prima. Cosa è cambiato?»
«Beh... un'offerta del genere nasconde sicuramente una fregatura».
«Ah, quello». Minimizza con un gesto della mano. «Dobbiamo solo sottoporti a una... serie di test fisici e ad alcune domande che potrebbero metterti a disagio».
«Posso rifiutare?» chiedo. Lui ride, e il suono è caldo, accogliente. Dovrei stare in guardia con questo misterioso capo che non ho mai incontrato prima, eppure, per qualche motivo, mi sembra affidabile.
Non è tanto il suo aspetto o ciò che dice. È qualcosa nella sua voce e nei suoi occhi che mi spinge a fidarmi di lui all'istante.
«Certo», risponde prima di chinarsi leggermente verso di me. «Ma ho la sensazione che non lo farai».
Ha ragione. Non lo farò. Non stavo forse cercando di scoprire cosa succede qui sotto? Ora un uomo affascinante mi sta offrendo il lavoro dei miei sogni, e io sono agitata perché sembra troppo bello per essere vero?
«D'accordo, allora», concludo. «Accetto volentieri di dare un'occhiata».
Lui annuisce soddisfatto, poi mi tende la mano per aiutarmi ad alzarmi.
La sua pelle è fredda. Immagino che non veda spesso il sole, considerando l'oscurità di questo posto. Quando lascia andare la mia mano, mi sorprendo a sentire già la mancanza di quel contatto.
«Da questa parte». Appoggia il palmo sulla porta, che si spalanca. Suppongo sia azionata da qualche tecnologia di rilevamento dell'impronta. Attraverso la soglia.
Proprio mentre sto per chiedergli perché mi abbia convocata così tardi, la porta si chiude tra noi e scompare, lasciando solo un tratto di muro bianco e liscio.
Che diavolo...?
Mi volto e mi trovo davanti a un lungo corridoio candido, con numerose porte su entrambi i lati. I miei occhi hanno bisogno di un momento per abituarsi di nuovo alla luce, poi finalmente comincio a camminare.
Raggiungo la prima porta sulla destra e cerco di girare la maniglia, ma non si muove. C'è una fessura in alto da cui sbirciare, ma non ci arrivo. È stata fatta per dei giganti?!
Sussulto quando un tonfo improvviso risuona da dietro una delle altre porte. Per fortuna è chiusa a chiave.
Continuo a camminare fino in fondo al corridoio. Un cartello sopra l'ultima porta dice "Clinica", così busso ed entro.
Un ragazzo con un camice bianco è seduto al computer, di fronte a me. Solleva lo sguardo e mi sorride.
«Tu devi essere Cat». Si alza in piedi. Anche lui è molto alto – di certo ben oltre il metro e ottanta – anche se un po' più basso del capo.
«Esatto. Spero di non essere finita in qualche zona off-limits», mormoro. Guardandomi intorno più attentamente, noto parecchi dispositivi medici, quindi immagino che qui eseguano numerosi test.
«Assolutamente no. Devo solo eseguire un controllo fisico e farti qualche domanda. Da cosa preferisci iniziare?»
«Le domande, per favore».
Lui annuisce, ancora col sorriso sulle labbra, e mi indica un classico lettino d'ospedale coperto da un lenzuolo verde. Ci salgo sopra e intreccio le mani in grembo.
«Hai familiari stretti?» chiede.
«No».
«Genitori? Fratelli o sorelle?» incalza.
«No. I miei genitori sono morti, e non ho fratelli né sorelle».
«Perfetto», commenta. Non capisco perché dovrebbe importargli, ma lui prosegue come se nulla fosse. «Qualche legame affettivo? Migliori amici, relazioni sentimentali?»
«Nessuno».
«Molto bene. Hai appuntamenti regolari a cui devi presentarti?»
«Non che io sappia», rispondo, e lui annuisce di nuovo.
«Hai già avuto rapporti sessuali?» chiede. Aggrotto la fronte e rimango in silenzio, finché lui alza lo sguardo su di me, con un'espressione rassicurante e calorosa. «Sono domande di routine richieste per questa posizione».
«È... insolito».
«Alcuni xenobiotici riescono a captare particolari feromoni, il che potrebbe interferire con il tuo lavoro», spiega. Annuisco lentamente. Quindi, qui sotto, ci sono creature in grado di fiutare l'odore delle vergini?!
«Beh, ho già fatto sesso prima», rispondo.
Lui abbassa lo sguardo sul foglio davanti a sé, barrando qualcosa.
«Quali sono le tue preferenze sessuali?»
«Ehm... tipo... etero o omo?»
Lui ridacchia, sollevando di nuovo lo sguardo su di me. «Per esempio».
«Beh, direi piuttosto aperta». Non ho sperimentato molto con le donne, ma non sono contraria all'idea.
«Hai patologie fisiche diagnosticate, come problemi al fegato, ai reni, qualcosa del genere?» chiede, continuando a leggere.
«No».
«Quali sono i tuoi limiti sessuali?»
Ora sono davvero confusa. «Non capisco come questo...»
«Più in fretta rispondi alle domande, prima potrai andare a casa», mi rassicura con un sorriso. «Se ti aiuta, posso dirti i miei, così ti sembrerà meno imbarazzante. Non mi piace il dolore inflitto al mio corpo; tutto il resto va bene».
Mi sento a disagio, ma deglutisco e annuisco. Devo ripetermelo: voglio davvero questo lavoro, voglio lo stipendio quadruplicato e, soprattutto, voglio scoprire che cosa succede qui sotto. Tutto questo vale un po' di imbarazzo.
«Al momento non mi vengono in mente limiti particolari», mormoro.
«Ottimo. Hai mai provato dolore durante un rapporto?»
«Sì», rispondo d'istinto, senza pensarci troppo.
«Ti è piaciuto?»
«Sì».
«Hai mai praticato sesso anale?»
«Sì...» borbotto, chiedendomi fino a che punto si spingerà il questionario.
«Ti è piaciuto anche quello?»
«Sì», sussurro.
Lui annuisce, spunta l'ultima voce sulla lista e alza lo sguardo su di me, con lo stesso sorriso sereno e amichevole. «Molto bene. Grazie per la collaborazione. Ora procederemo con la visita medica».
«Adesso? Non è che... potremmo rimandarla a domani?» propongo, pensando all'imbarazzante biancheria intima che ho scelto quella mattina.
Questo sconosciuto sa già fin troppo sulle mie preferenze sessuali, non voglio che veda anche le mie mutandine con le coccinelle.
«Se è quello che preferisci, certo». Indica la porta da cui sono entrata. «Ti riaccompagno fuori. Vieni domani a qualsiasi ora. E non preoccuparti: puoi dimenticare il tuo attuale incarico. Il nuovo lavoro inizia subito».
«D'accordo...» Confusa, lo seguo fino al punto in cui la porta dell'ufficio del signor Sire era scomparsa. Sembra ancora solo un muro bianco e liscio. Poi lo scienziato appoggia il palmo su una piccola piastrella, e la porta riappare all'istante.
«Non ho afferrato il tuo nome», dico mentre apre la porta.
«Sono Richard. Ci vediamo domani». Mi spinge delicatamente nella stanza, restando nel corridoio con un sorriso caloroso, finché la porta non si richiude.
È tutto talmente assurdo che non mi stupirei se, da un momento all'altro, un regista gridasse "Stop!", dato che l'intera scena sembra tratta da un film su uno scienziato pazzo.












































