
"Rayne".
"Come hai avuto questo numero, Miles?"
"Non arrabbiarti con lui. Gli ho detto che mi serviva in caso di emergenza o nel caso in cui avessi avuto bisogno di contattarti per questioni di custodia".
Chiudo gli occhi e sbuffo. "Logan".
"Ultimamente abbiamo parlato molto. Sto cercando di ricucire un po' il nostro rapporto. È ancora così arrabbiato con me. Ho paura che non sarà più la stessa cosa".
"Lo so".
"Per favore, parlami. Lascia che ti spieghi. Lascia che mi scusi. So che non sei a New York in questo momento, ma almeno parlami. Ti supplico, Rayna".
Usa il mio nome solo quando è totalmente onesto o cerca di farmi capire qualcosa. In tutti gli altri casi mi chiama sempre Rayne. Sono seduta qui, nella mia casa in affitto, e, per una volta, voglio sentirlo. Voglio sentire le scuse.
Sono passati mesi, ho capito molte cose e mi sono leccata le ferite, ma la rabbia è rimasta. Voglio sapere cosa ho fatto di sbagliato, cosa ho fatto perché andare da Amber fosse meglio che andare da sua moglie.
"Sei ancora lì, Rayne?"
"Sì. Sto ascoltando".
Il suo sospiro attraversa la linea telefonica. È un sospiro di sollievo, sapendo che finalmente gli darò la possibilità di parlare dopo tutti questi mesi in cui ho riattaccato o cambiato numero.
"Gesù. Ti amo così tanto, Rayna. Non hai idea di quanto tu mi sia mancata. Mi dispiace così tanto. Sapevo che Amber era sempre gelosa di te e delle nostre vite da quando si è trasferita a New York per starti più vicina".
"Nondimeno hai una relazione con lei".
Sbuffo. Sono sicura che Amber non ha accettato per niente la cosa. Miles dimentica che la conosco fin dall'infanzia. È abituata a ottenere ciò che vuole, e in questo caso si trattava di mio marito.
"Sì, non l'ha presa bene, ma l'ho lasciata e ho passato il resto di quella notte a cercarti. Ma tu avevi già fatto i bagagli e te ne eri andata". Prende un respiro e lo lascia uscire lentamente. "È tutta colpa mia. Non c'è niente che tu abbia fatto perché succedesse, Rayne. Non ho nemmeno intenzione di inventarmi una qualche scusa sul perché l'ho fatto: sappi solo che non si è mai trattato di te".
"Allora di cosa si trattava?"
"L'eccitazione, il volerne di più. Mi sembrava di volerne sempre di più, nella vita: più lavoro, più soldi, più emozioni. L'unica cosa che non è mai cambiata sono i miei sentimenti nei tuoi confronti. Ma, anche dicendo questo, siamo stati insieme dai tempi del liceo e… E mi è venuta quest' idea in testa che non avevo mai conosciuto la libertà. Non sapevo nemmeno di volerla provare finché Amber non ha iniziato a parlarmene. Ero felice della nostra vita".
"Ovviamente no".
"Lo giuro, era solo l'eccitazione della cosa, Rayne. Non ho mai provato nulla per lei, oltre all'eccitazione… Ecco perché ha dato di matto quando l'ho lasciata per venirti a cercare e ha capito che non significava niente per me. Il solo pensiero di perderti per quello che avevo fatto mi aveva mandato in tilt".
"Quante volte, Miles?"
Rimane in silenzio per un attimo, perché sa cosa gli sto chiedendo. Poi lo sento sospirare, rassegnato. Per capire veramente ho bisogno della verità completa, non filtrata, per quanto dolorosa possa essere. E lui lo sa.
"Ti giuro, Rayna, che quella è stata la seconda e ultima volta".
Sentendo questo, mi rendo conto di aver chiuso con quella conversazione. Non c'è numero di scuse che possa rimediare al suo errore. Ho bisogno di un bagno caldo e di un bicchiere di vino.
"Ti amo, Miles".
"Grazie a Dio".
"Sto soffrendo come un cane, Rayna".
"Allora sai come mi sono sentita io la notte in cui ho perso mio marito per la mia migliore amica. Addio, Miles".
Non appena mi immergo nella vasca d'acqua calda, il mio telefonino squilla di nuovo. Non riesco a fare un bagno decente e a bere un bicchiere di vino. Se è Miles che chiama di nuovo, cambio numero.
"Mamma".
Il mio cuore inizia a battere più forte. Non c'è mai niente di buono quando tuo figlio ti chiama a tarda notte.
"Logan. Va tutto bene?"
"Devo dirti una cosa".
"Che hai dato il mio numero a tuo padre, forse?"
Sospira pesantemente. "Sì, mi dispiace. So che mi avevi detto di non farlo".
"Va tutto bene, Logan. Non sono arrabbiata. Ma qualcosa mi dice che non è l'unico motivo per cui mi chiami così tardi".
"Ti arrabbieresti se non volessi finire il campus di football?"
"È successo qualcosa che dovrei sapere?"
"No".
"Ti annoi?"
"No".
"Logan, tesoro, devi parlarmi e farmi capire".
A volte parlare con un adolescente è come parlare con un pesce. La loro bocca si muove, ma non esce nulla. Mi appoggio alla vasca e aspetto che sia pronto a dirmi perché non vuole più restare al campus.
"Voglio stare con te. Papà continua a chiamarmi e parliamo, ma alla fine tutto quello che voglio è assicurarmi che tu stia bene".
Stai tranquillo, cuore mio: a volte mi dimentico di quanto sia ancora difficile per lui. Pensavo che essere impegnato con il football in questo momento delicato lo avrebbe in qualche modo protetto. Forse però stare con i nonni per il resto dell'estate gli farebbe altrettanto bene.
"Facciamo così, fammi parlare con il tuo allenatore domani, ok? Mi organizzerò e ti farò avere un biglietto aereo per venire qui. So che i tuoi nonni saranno felicissimi di rivederti".
"Non ti arrabbierai se lascio il campus?"
"No. Credo che al momento tu abbia bisogno di stare più vicino a casa. Dormi un po', tesoro. Ci sentiamo domani".
"Va bene! Ti voglio bene, mamma!" Sembra già più allegro.
"Ti voglio bene anch'io, figliolo".
Quando finalmente riesco a farmi il mio bagno caldo, realizzo che il mio appuntamento con Steve è oramai annullato: non sono più dell'umore giusto, e l'unica cosa che voglio è raggomitolarmi e addormentarmi. Cerco dei biglietti aerei per Logan e gli prenoto il primo volo in partenza, poi mando un'e-mail al suo allenatore per chiedergli di chiamarmi il prima possibile. Infine mi accoccolo sotto le coperte per riscaldarmi.
Ma proprio un attimo prima di addormentarmi sento qualcuno bussare con energia alla mia porta. Ormai sono arrabbiata. Non mi metto nemmeno la vestaglia e vado ad aprire. Indosso solo la mia camicia da notte di seta e pizzo, che cade a metà coscia. Spalanco la porta e urlo: "dico sul serio, sapete che ore sono?"
Di fronte a me c'è il detective Kelly Hawthorne. I suoi occhi sono spalancati mentre il suo sguardo mi squadra dalla testa ai piedi.
"Umm..." Scuote la testa come per schiarirsi le idee. "Sì, è mezzanotte passata. Accidenti, di solito è tutto quello che indossi per andare a letto?"
"Cosa vuoi, detective?"
Scuote di nuovo la testa. "Oh, ehm, giusto. C'è stata una perdita di gas e sto aiutando i vigili del fuoco a controllare i residenti di questa strada. Ti dispiace se entro e faccio una lettura?"
"Certo, nessun problema".
Così entra, tira fuori dalla tasca una piccola scatola e la accende.
"Ormai il problema dovrebbe essere risolto, ma, giusto per sicurezza, non hai avuto alcun sintomo, vero? Tipo mal di testa o confusione?"
"Solo quando il mio ex marito mi ha chiamata, poco fa".
I suoi occhi si posano sui miei e poi di nuovo sulla piccola scatola. Aspetto che attraversi la casa mentre mi siedo al bancone della cucina e accavallo le gambe. Quando mi vede, si aggrappa al bordo del telaio della porta e geme.
"Sta bene, detective?"
Chiude gli occhi e stringe le labbra tra i denti. "No, neanche un po'. La buona notizia, però, è che sei al sicuro. Mi spiace di averti disturbata".
Lo accompagno all'uscita, con le sopracciglia aggrottate per la preoccupazione, e a quel punto noto i camion dei pompieri e i poliziotti del quartiere. Come diavolo ho fatto a non accorgermene?