L'eredità reale 1: L'ascesa della luna crescente - Copertina

L'eredità reale 1: L'ascesa della luna crescente

Emily Goulden

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Chapter
15
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18+

Riepilogo

Quando Josephine Taylor torna nella sua città natale, è pronta ad andare avanti come medico, ma non ad affrontare il legame di coppia che si accende con l'alfa August Hayes. Figlia senza lupo di un alfa assetato di potere, Josephine porta con sé le cicatrici dell'avidità del padre, che ha decimato il loro branco lasciandola orfana. Ora il destino l'ha legata ad August, l'alfa determinato a ripristinare l'eredità del branco. Insieme, si trovano coinvolti in una guerra che si sta preparando per rovesciare il tirannico Consiglio dei Lupi e riportare la pace nel regno. Ma con la posta in gioco più alta che mai, il loro legame sarà sufficiente a sconfiggere la bestia che li minaccia?

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52 Capitoli

Capitolo 1

Capitolo 1

Capitolo 2

Capitolo 2

Capitolo 3

Capitolo 3

Capitolo 4

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Capitolo 1

JOSEPHINE

Quegli occhi.

I penetranti occhi azzurri di un uomo mi fissano, invitandomi ad avvicinarmi. Muoio dalla voglia di muovermi, raggiungerlo, gettarmi tra le sue braccia e non lasciarlo mai più.

Ma sono come paralizzata. Non riesco nemmeno a distogliere lo sguardo per scoprire se quegli occhi appartengano a un volto, a un corpo. Rimango lì, immobile, divorata dal desiderio.

Mi svegliai di soprassalto, il cuore che batteva forte mentre annaspavo in cerca d'aria. Sbattei le palpebre più volte, cercando di mettere a fuoco.

Mi guardai intorno confusa e mi ci volle un momento prima di ricordare dove mi trovavo: la mia camera d'albergo nel Rhode Island.

Mi girai nel letto con un sospiro, affondando il viso nel cuscino per soffocare la frustrazione. Anche nell'oscurità della stanza e contro la morbidezza del tessuto, l'immagine di quei brillanti occhi azzurri continuava a tormentarmi.

Affliggevano i miei sogni da anni ormai. Mai un volto, mai un corpo, mai una voce. Solo quegli occhi, ma sapevo, nel profondo del cuore, che appartenevano all'uomo fatto apposta per me.

Ecco perché ero in quella cittadina vicino a dove ero cresciuta, un posto dove non avrei mai dovuto rimettere piede. Lui era lì da qualche parte e io l'avrei trovato. Non c'era da stupirsi che il sogno di quella notte fosse stato ancora più intenso del solito.

Scesi dal letto e mi trascinai attraverso la stanza, imprecando quando sbattei il piede contro il comò. Ero arrivata tardi la sera precedente, dopo aver guidato da New York, e non mi ero presa il tempo di dare un'occhiata all'ambiente prima di crollare esausta.

Cercai a tastoni l'interruttore e gemetti quando la luce accecante del soffitto si accese all'improvviso. Controllai il telefono, e me ne pentii immediatamente: due messaggi e una chiamata persa da mio fratello.

JaredJosie? Che cazzo ci fai di nuovo nel Rhode Island?
JaredOh, molto maturo ignorarmi. Sarà meglio che non ti stia mettendo nei guai. Giuro che verrò a prenderti a calci se necessario.

Non gli avevo parlato del mio piano di venire qui. Eppure, in qualche modo, lo sapeva già. Sapeva sempre tutto di me. Era snervante.

Posai il telefono e mi avvicinai alla valigia. Mancavano due ore al mio colloquio all'ospedale locale ed era il caso di rendermi presentabile. Anche se, a dire il vero, ero piuttosto sicura di farcela.

Fino alla settimana precedente, ero un medico in uno degli ospedali privati più prestigiosi di New York. Stavo per diventare il più giovane primario nella storia della NYU. E ora eccomi a fare domanda per un posto al pronto soccorso in una piccola città dal nome decisamente appropriato: Little Compton.

Non avrei dovuto essere lì. Stavo rinunciando a così tanto... solo per la possibilità di trovare un certo paio di affascinanti occhi azzurri.

Ma è molto più di questo.

Mi infilai un paio di pantaloni grigi attillati e una camicetta blu scuro con piccoli fiori bordeaux.

Poi mi diressi in bagno per lavarmi i denti e sistemarmi i capelli. Il disastro che avevo in testa testimoniava che avevo trascorso la notte a rigirarmi nel letto, sognando di cercare di avvicinarmi a quegli occhi.

Passai un pettine tra i miei ricci rossi e spruzzai un po' di balsamo, pregando che decidessero di collaborare senza costringermi a usare la piastra. Sistemai le ciocche dietro le orecchie e mi guardai allo specchio.

Arricciai il naso, facendo muovere le lentiggini sulle guance e sorridendo al mio riflesso. Soddisfatta del mio aspetto, spensi le luci del bagno e tornai alla scrivania per le scarpe.

Scelsi un paio di eleganti sneakers blu e presi la giacca bordeaux dallo schienale della sedia. Chiusi la valigia e controllai di avere tutto prima di uscire.

Fuori, un uomo con i capelli biondo cenere e unti portò il mio SUV davanti all'ingresso e mi aprì la portiera. Sorrisi educatamente e gli lasciai la mancia nel palmo.

Lui strinse le dita attorno alle mie prima che potessi ritrarle e si chinò, annusandomi il collo. Mi irrigidii, tirai via la mano e lo spinsi da parte per chiudere la portiera dell'auto, lasciandolo a fissarmi sul marciapiede.

Probabilmente era rimasto sorpreso dalla forza con cui lo avevo allontanato e dalla rapidità con cui ero riuscita a sfuggirgli. Forse pensava che una semplice umana fosse una preda facile.

Peccato per lui: so bene come dimostrargli che si sbaglia.

Guidai fino a una caffetteria che mi piaceva quando vivevo nei dintorni da adolescente. Si trovava a un isolato dall'ospedale, così parcheggiai lungo la strada. Quando aprii la porta, un campanellino sopra la mia testa annunciò il mio ingresso.

La maggior parte dei clienti non si mosse, ma alcuni alzarono lo sguardo su di me, con quei loro visi innaturalmente perfetti. Roteai gli occhi e mi diressi al bancone, borbottando tra me e me su come tutti sembrassero molto più critici di quanto ricordassi.

D'altronde, ero una persona completamente diversa l'ultima volta che sono stata qui.

Ordinai un latte macchiato alla vaniglia e rimasi in disparte finché non chiamarono il mio numero. Con il bicchiere in mano, uscii a sedermi a uno dei tavolini di ferro sparsi lungo il marciapiede.

Mentre sorseggiavo il mio latte macchiato, controllai l'orologio: mancava un'ora al colloquio.

Stavo pensando a come ammazzare il tempo, quando qualcosa attirò la mia attenzione. Girai la testa verso l'incrocio di fronte a me. Una lucida auto nera stava svoltando a sinistra allo stop, e rimasi ipnotizzata mentre mi passava davanti.

Si allontanò lungo la strada e io continuai a fissarla, il mio corpo immobile.

Scossi la testa. Dannazione.

Spinsi rapidamente indietro la sedia dal tavolo, gettai il latte a metà nel cestino e saltai in macchina. Avrei passato il tempo direttamente all'ospedale. Magari mi avrebbero permesso di iniziare il colloquio in anticipo.

Qualsiasi cosa era meglio che restare a fissare le auto come un cane in attesa del ritorno del padrone, chiedendomi quale contenesse gli occhi azzurri che desideravo tanto trovare.

***

La porta della sala colloqui dell'ospedale si aprì, rivelando una donna con i capelli grigi corti. Gli occhiali con la montatura rossa incorniciavano i suoi occhi color cioccolato, e un camice bianco le copriva il vestito scarlatto. Mi sorrise e mi tese la mano.

«Dottoressa Taylor, è un piacere conoscerla! Sono la dottoressa Sheila Grace, responsabile del pronto soccorso», si presentò, guidandoci all'interno della stanza.

Quando si fece da parte, indicandomi una sedia, presi un respiro profondo e quasi caddi a terra, travolta dal profumo più inebriante che avessi mai sentito.

Grazie alla Dea, la dottoressa Grace mi dava le spalle e non mi vide barcollare, ma il resto della commissione sì. Inspirai a fondo, lasciando che l'aroma di cannella e spezie invadesse i miei sensi. Non avevo mai sentito nulla di simile, ma sapevo esattamente cosa significava.

Deve essere uno scherzo.

Scrutai i volti delle persone sedute davanti a me. Tre donne e tre uomini, due dei quali indossavano camici bianchi. La dottoressa Grace li stava presentando uno a uno, ma io non la stavo nemmeno ascoltando. Con uno sforzo, riportai la mia attenzione su di lei.

«Questa è la dottoressa Melinda Knox, una delle colleghe con cui lavorerebbe nel pronto soccorso. L'infermiera Kasey è una delle assistenti più valide... è la nostra salvezza».

Ridacchiò, lanciando uno sguardo a una ragazza in divisa blu che sembrava avere più o meno la mia età. Poi continuò: «Maxine fa parte dello staff amministrativo insieme a Jack. Il dottor Michael Robbins è il primario di chirurgia».

Infine, si voltò verso l'ultimo uomo al tavolo. «E per concludere, il signor August Hayes, uno dei benefattori più generosi dell'ospedale».

Ecco fatto. Sono fregata.

August Hayes era la fonte di quel profumo di cannella e spezie autunnali. Anche se il suo intenso linguaggio del corpo non l'avesse già rivelato, anche se il suo sguardo penetrante non sembrasse scrutarmi l'anima, avrei comunque riconosciuto immediatamente quei profondi occhi azzurri.

Quegli occhi che tormentavano i miei sogni da anni.

Deglutii a fatica. Perché proprio io?

Mi agitai a disagio di fronte alla commissione mentre la dottoressa Grace mi accompagnava alla mia sedia. Mi osservò preoccupata e sapevo di dovermi riprendere. Mi sedetti e accavallai rapidamente le gambe, cercando di farmi il più piccola possibile.

L'infermiera Kasey mi fissava con un sorrisetto, come se sapesse esattamente cosa stava succedendo.

Fantastico, un'altra. Quante persone in questa stanza sono davvero umane?

Sospirai a bocca aperta, attenta a non inalare altro profumo del signor August Hayes. Dovevo ricompormi.

Non sarei stata la dottoressa di New York che arrivava in un ospedale di Little Compton e si rendeva subito ridicola gettandosi tra le braccia di uno sconosciuto. Mi sforzai di sorridere.

«È un piacere conoscervi tutti. Sono la dottoressa Josephine Taylor». Giuro sulla Dea di aver visto il signor Hayes sciogliersi letteralmente sul posto, in quel preciso istante.

Almeno non ero l'unica a sentire la forte connessione tra noi. Ora, non mi restava che sopravvivere al colloquio. In qualche modo.

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