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Cover image for Amore al primo... Semaforo

Amore al primo... Semaforo

Solo un amico

Nick

Il locale era pieno di luci colorate che ballavano al ritmo dei brani del DJ.

La pista da ballo era piena di persone sudate e travolte dagli ormoni, che si strusciavano gli uni sugli altri come formaggio su di una grattugia.

Svuotai il contenuto del mio bicchiere in un sol sorso, la sensazione di bruciore mi avvolse la gola mentre mandavo giù la terza bibita.

"Il bar è più rumoroso del solito", mi disse Luke, al mio fianco.

Era stato lui a trascinarmi in quel posto, dicendomi che avevo bisogno di "lasciarmi andare e scopare un po'".

Niente fraintendimenti: non avevo alcuna difficoltà a trovare ragazze con cui andare a letto, solo che io non avevo relazioni con nessuno e loro, alla fine, si affezionavano sempre.

"Bello, che ti succede? È la terza tipa che praticamente ti implora di portartela a letto".

Luke mi diede una spinta mentre la "ragazza numero 3 con il culo grosso", come la chiamava lui, molto intelligentemente, ci lanciava occhiate civettuole.

"Finisce sempre allo stesso modo. Mi sta stancando".

"Non puoi farci niente, Nick. Con quel viso è normale che le ragazze ti vogliano. Tutto il pacchetto, compreso di brillantini e luccichii", mi stuzzicò, sollevando le sopracciglia in mia direzione.

"Ehilà, bellezza", mi chiamò una voce acuta.

Feci una smorfia prima ancora di voltarmi, per poi ritrovarmi faccia a faccia con Stacy.

Nella mia testa alzai gli occhi al cielo quando lei mi spinse il seno di silicone contro il braccio. Già, avevo avuto la sfortuna di ubriacarmi così tanto da andarci a letto.

"Allora, che piani abbiamo per la serata, tesoro?" Chiese, strascicando ogni parola in un modo da risultare, secondo lei, seducente.

"Niente che includa te", risposi io, togliendomi le sue mani di dosso.

Notai che Luke era troppo silenzioso e mi accorsi che stava fissando qualcosa o, più precisamente, qualcuno. Seguii il suo sguardo e mi ritrovai nella stessa situazione.

"Accidenti", esclamò Luke.

Dalla nostra visuale dalla sala VIP, vidi una donna vestita di rosso che spiccava tra la folla e ballava in modo molto sensuale, tanto che non avrei mai potuto chiamarla volgare.

Davvero, con un amico come Luke, ne sapevo qualcosa.

L'ondeggiare dei suoi fianchi era così seducente, la spensieratezza del suo viso e il modo in cui le sue labbra si aprivano...

Aveva un'aria familiare.

"Ooh? Terra chiama Nick? Mi stai ascoltando?" Urlava Stacy, con le braccia incrociate e un broncio che tentava di essere carino. Per me sembrava solo stitica.

"Stacy, bella, è finita, spero che tu sappia cosa significa questa parola. Spero che tu ne conosca di più di una decina", la liquidai, allontanandomi da quella bomba a orologeria.

Luke mi seguì, facendo una smorfia a guardare Stacy. "In una scala da uno a dieci, lei sarebbe un dieci... Purtroppo, però, temo che lo sia anche il suo QI".

Rise di gusto per la sua stessa battuta mentre, insieme, scendevamo le scale.

"E rilassati, Nick! Oggi ti comporti da un guastafeste", gridò sopra la musica ad alto volume.

Io non gli prestai attenzione, i miei occhi vagavano alla ricerca della ragazza che avevamo visto prima.

Sapevo che non sarebbe stato difficile individuarla e, visto che non riuscivo a trovarla da nessuna parte, ero sicuro che se ne fosse già andata.

"Per me la serata è finita", gridai a Luke.

"Cosa? Ma siamo arrivati solo un'ora fa!" Si lamentò lui.

"Fatti accompagnare a casa da Frank", ribattei, nominando il suo autista personale.

"Non guidare ubriaco, Luke, dico sul serio", conclusi, per poi dargli una pacca sulla spalla e dirigermi verso l'uscita.

Lo sentii rispondere qualcosa che suonava come: "okay, papà", ma non mi preoccupai di replicare.

Quando le mie scarpe batterono sull'asfalto, l'aria gelida mi colpì.

Le notti a New York diventavano sempre più fredde, così non persi tempo a raggiungere la mia auto.

Camminavo a velocità costante, ma un ragazzo mi urtò all'improvviso; io lo fulminai con lo sguardo, ma lasciai correre, pensando che fosse solo un altro ubriaco.

Qualcosa, però, mi spinse a voltarmi. Quel tipo non me la contava giusta.

Girai la testa e vidi che si stava dirigendo verso una ragazza appoggiata al muro, che cercava di sostenersi.

Nel parcheggio quasi non c'era luce e potevo solo supporre che la ragazza avesse bevuto un bicchiere di troppo.

Osservai la scena mentre l'uomo si avvicinava alla ragazza, con aria maligna.

Senza pensarci due volte mi precipitai verso la scena e, proprio quando l'uomo stava per metterle le mani addosso, io gli afferrai il polso e strinsi la presa.

"Toccala solo con un dito e dovrai vedertela con me", ringhiai, con voce bassa e minacciosa. Detestavo gli uomini come lui.

"Lasciami andare, stronzo. Trovatene un'altra di ragazza. Questa qui è mia", ribatté.

Lasciandomi andare a una risatina sarcastica, ho stretto la presa mentre l'uomo grugniva di dolore.

"Hai scelto di vedertela con me, allora".

Lui sferrò un pugno da ubriaco verso di me e io lo schivai con facilità.

Gli girai il braccio e l'uomo strillò di dolore, cercando di dibattersi nella mia presa.

"Va bene! Va bene! Me ne vado!" Implorò.

Lo lasciai andare, osservando come riuscisse a reggersi a malapena e flettesse il braccio, per contrastare il dolore. Si girò con uno sguardo arrabbiato, pronto a colpirmi, ma io lo precedetti.

Usando il braccio destro, sferrai un pugno dritto sul naso del bastardo.

Lui cadde di schiena, stringendosi il naso sanguinante e lottando per allontanarsi.

Stavo per seguirlo, quando notai la figura immobile della ragazza che, adesso, ondeggiava in cerca dell'equilibrio perso.

La afferrai subito e, quando l'adrenalina si esaurì, spalancai gli occhi a riconoscere la donna svenuta tra le mie braccia. Era la ragazza di prima.

Provai a darle dei leggeri colpetti sul viso per svegliarla, ma lei rimase priva di sensi. Respirava in modo regolare, rassicurandomi sul fatto che, prima o poi, si sarebbe ripresa.

Mi guardai intorno e cercai qualcuno che potesse riconoscerla.

Non ebbi successo. Il parcheggio era del tutto vuoto.

Rivolsi la mia attenzione alla bella addormentata, controllai se avesse con sé una borsa o un telefono, ma la risposta sembrava negativa.

Non avevo altra scelta se non quella di portarmela a casa, almeno finché non fosse stata abbastanza sobria da andarsene.

La presi in braccio e mi diressi verso la mia auto. Feci fatica a sistemarla lì senza farle sbattere accidentalmente la testa contro la portiera.

Poi le allacciai la cintura di sicurezza. Lei rimase addormentata e dalle sue labbra uscì un lieve russare che attirò la mia attenzione.

Fissai le sue labbra morbide, distraendomi per un attimo.

"Non è il momento, Nick", mormorai, rimproverandomi mentalmente per aver avuto pensieri così inappropriati.

Mi approcciai al sedile del guidatore, aprii la portiera e vi scivolai dentro, accesi il riscaldamento e uscii dal parcheggio.

Il viaggio verso casa fu abbastanza breve. Quando entrai nel garage sotterraneo, fui subito accolto dalla mia guardia del corpo, Bruce, che aveva un'aria arrabbiata.

Scesi dalla macchina, aspettando la ramanzina che, sicuramente, era in direttura d'arrivo.

"Nick, se continui a svignartela in questo modo dovrò dimettermi. Sono troppo vecchio per i tuoi scherzi", biascicò, stanco.

Bruce era il capo della sicurezza della nostra famiglia. Lavorava per noi già da prima che io nascessi.

Non sembrava anziano, ma i pochi capelli grigi e le rughe sul suo viso, accentuate da momenti come quello, mostravano la sua vera età.

"Oh, dai, Bruce. Ti tengo sull'attenti, così ti senti più giovane", risposi.

"Il problema è che sono davvero vecchio e un giorno o l'altro mi farai venire un infarto, col tuo tenermi sull'attenti", ribatté lui.

"Va bene, va bene, vecchio mio. Non lo farò più. Prometto di informarti, la prossima volta", risposi, sollevando le mani.

Bruce era una delle poche persone che vedeva quel mio lato spensierato. Persino i miei genitori lo vedevano raramente.

Beh, come avrebbero potuto? L'unica cosa a cui pensavano era di plasmare loro figlio perché diventasse un erede perfetto e portasse avanti la compagnia.

"Sei con qualcuno?" Mi domandò Bruce, guardando il sedile accanto al mio.

"Solo un'amica".

"Eh, solo un'amica? Bada solo che non debba più fare le pulizie per te né avere a che fare con bimbetti urlanti", commentò.

"Non preoccuparti". Io gli sorrisi in modo sfacciato, ma lui alzò gli occhi al cielo.

Se ne andò subito dopo, così io mi diressi verso il lato del passeggero e aprii la portiera.

La ragazza sembrava dormire così tranquilla che mi dispiaceva spostarla e rischiare di svegliarla.

Dubitavo, però, che avrebbe apprezzato il dolore alla schiena se l'avessi lasciata lì.

La presi in braccio e lei si accoccolò più vicino al mio collo. Sentivo il suo respiro sbattere sulla mia pelle nel suo abbraccio.

Soltanto quel misero gesto fece sentire al mio cuore cose che non avrebbe dovuto sentire.

La portai nell'ascensore e selezionai il piano più alto del mio attico, quindi attesi che il familiare "ding" mi avvertisse che eravamo arrivati al mio piano.

Feci fatica ad aprire la porta, così ci diedi un calcio, ma ci misi un po' troppa forza e provocai un suono fragoroso.

"Merda", mormorai, sottovoce.

La ragazza si svegliò e si guardò attorno, assonnata, fino a quando i suoi occhi nocciola, finalmente, catturarono i miei.

Per alcuni secondi ci fu silenzio, prima che lei parlasse.

"Sei tornato", sussurrò, sfoggiando un sorriso smagliante, che mi conquistò.

"Non... Non so di cosa tu stia parlando". Balbettai.

Lei si liberò dalla mia presa e si alzò in piedi, tremante. Mi sorrideva, assonnata e, senza dubbio, bellissima, ora che si reggeva sulle gambe.

Quello che fece dopo, però, mi colse del tutto alla sprovvista.

Mi abbracciò e si avvicinò in punta di piedi alla mia altezza, quindi posò le sue labbra morbide e carnose sulle mie, in un tenero bacio.

Rimasi stordito per qualche secondo, ma poi risposi.

Lei aveva gli occhi chiusi e io potevo sentire ogni emozione riversata in quel bacio.

Accidenti.

Quando sentii il mio viso bagnato, riaprii gli occhi e vidi che lei stava piangendo.

Mi allontanai subito e lei spalancò gli occhi, pieni di sofferenza. Anche se c'era tanto dolore, la ragazza riuscì a sorridermi con tristezza.

"Non sono abbastanza per te?" Sussurrò, guardando in basso.

Ero molto confuso e stavo per chiederle cosa intendesse.

"Cosa? No..." Risposi, ma fui interrotto quando il suo volto impallidì improvvisamente.

Dopodiché si svuotò le budella, vomitando su di me e sul pavimento della moquette.

"Cazzo!"

Non era così che avevo programmato la serata.
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