Mandie Steyl
SKYE
Mi svegliai alle cinque del mattino per prepararmi per la scuola prima che mio padre si alzasse. Dopo la notte precedente zoppicavo.
Accesi la doccia. Mentre aspettavo che l'acqua si scaldasse, mi guardai allo specchio.
Avevo il naso e gli occhi neri e blu, l'occhio destro più blu e più gonfio del sinistro, con un piccolo squarcio dovuto alla notte prima.
Le mie costole erano piene di lividi viola e la mia schiena e le mie gambe erano coperte di segni freschi di frusta.
La mia coscia sinistra aveva spessi segni blu e rossi. Almeno non sembrava così grave come l'ultima volta.
Entrai nella doccia e mi morsi il labbro per soffocare l'urlo provocato dal calore sulla mia carne tenera. Feci la doccia il più velocemente possibile e uscii.
Avevo sempre pensato che l'acqua aiutasse il mio corpo martoriato a guarire, ma le tumefazioni erano ancora troppo fresche. Dopo sei anni di abusi, il mio corpo aveva in qualche modo imparato a guarire più velocemente ogni volta.
Mi vestii con una camicia nera oversize e dei jeans azzurri, poi indossai le mie scarpe da corsa nere e argento. Mi legai i capelli in un chignon spettinato e decisi di non truccarmi.
Scesi le scale zoppicando, sperando di non vedere papà prima di andare a scuola, ma lui mi stava già aspettando in cucina.
"Buongiorno, tesoro", mi disse con una voce squillante. Mi sentii sollevata. Lo avevo colto nel suo lato migliore: il lato tenero che si preoccupava davvero, ma che si mostrava sempre più raramente. Mi mancava così tanto questo aspetto di lui.
Vidi il rimpianto nei suoi occhi mentre mi osservava. Sollevai mentalmente gli occhi al cielo. L'avevo già visto troppe volte.
"Ciao, papà", risposi, senza emozioni.
Cercai di sedermi, ma non ci riuscii perché il mio sedere era ancora fresco di squarci e lividi. Decisi di rimanere in piedi. I jeans stretti mi stavano aiutando molto.
Avevo imparato col tempo che più i pantaloni erano stretti, meno male sentivo. I pantaloni larghi tendevano a sfregare e irritare la pelle.
Di solito mi picchiava in parti del corpo che potevo coprire: la schiena, il sedere, le gambe, la parte superiore delle braccia, mai altrove. Ma questa volta aveva approfittato del mio viso già pieno di lividi.
Anche se era un mostro violento, non aveva perlomeno mai abusato di me sessualmente.
"Mi dispiace tanto, Skye", disse singhiozzando. Si avvicinò per abbracciarmi ma poi si fermò.
"Vado via per un po'", disse rauco, cercando di coprire i suoi singhiozzi.
Lo guardai con sorpresa, ma anche con sollievo: una possibilità per il mio corpo di guarire e per me di rilassarmi.
"Ok, papà. Per favore, sii prudente. Devo andare, camminare fino a scuola mi porta via un po' di tempo", dissi, prima di prendere una mela e dargli un bacio sulla guancia.
Mi richiusi la porta d'ingresso alle spalle e rilasciai il respiro che non mi ero resa conto di aver trattenuto.
Camminare verso la scuola era per me un momento felice in cui potermi schiarire le idee.
Dopo tutto quello che era successo il giorno prima, dovevo essere pronta a tutto. Dovevo scoprire chi mi aveva fatto del male e perché, ma poi mi ricordai del suo volto.
Era furioso, e i suoi occhi fiammeggianti mi avevano rubato il fiato prima che perdessi i sensi. Perché mi stava aiutando?
"Ragazza nuova!" Sentii qualcuno urlare dal mio lato destro.
Mi voltai e vidi che il seduttore sfigato, il braccio destro del signor Stronzo, stava attraversando la strada verso di me. Sollevai gli occhi al cielo e continuai a camminare. Non ero dell'umore giusto.
Sentii i suoi occhi su di me e alzai lo sguardo verso il suo volto sorridente, che presto si trasformò in un'espressione preoccupata.
"Ehi, stai bene?" Mi sentii la sua mano sulla spalla e trasalii per il dolore. Mi girai, cercando di rimuoverla. Lui sussultò per lo shock.
"Cosa ti è successo? Mio Dio, stai bene?" La pietà e la preoccupazione nella sua voce spezzarono la mia sicurezza. Guardai i suoi occhi castani preoccupati e gli feci un piccolo sorriso.
"Sto bene, grazie", dissi dolcemente e mi voltai per fare il resto della strada.
Lo sentii sospirare e continuare a camminarmi accanto, così mi fermai e lo sfidai con un sopracciglio alzato e un broncio.
Lui mi sorrise e mi si avvicinò di un passo. Non ero il tipo da tirarsi indietro davanti a un uomo, mai. Uno dei motivi principali per cui mi trovavo in quelle situazioni a casa.
"Vivi vicino a me", disse con un sorriso diabolico, facendomi arrossire di brutto. I suoi occhi guardarono il mio labbro morso e si leccò le labbra.
Ero sicura che avrebbe cercato di baciarmi prima che voci forti e irritanti interrompessero la sua concentrazione. Sospirò e salutò le barbie bionde e scintillanti che stavano camminando verso di noi.
"Perché parli con quella puttana da roulotte?" Gli chiese una di loro. Io le scansai, allontanandomi da tutte quelle strane vibrazioni.
"Chiudi quella cazzo di bocca, Nicky!" Le ringhiò lui di rimando. Lo sentii camminare di nuovo dietro di me mentre le bionde blateravano intorno a lui. Mi misi a camminare più velocemente.
Non volevo avere niente a che fare con loro. Non volevo nemmeno camminargli vicino. Raggiunsi il cortile della scuola e vidi Mona che mi raggiungeva con un sorriso smagliante che si spegneva man mano che si avvicinava.
"Skye! Mio Dio, stai bene? Cos'è successo?" Mi chiese, abbracciandomi forte.
Mi morsi l'interno della guancia per trattenere l'urlo di dolore dell'abbraccio, ma il mio corpo si bloccò per il dolore e lei notò la mia rigidità.
Mi afferrò il polso e iniziò a trascinarmi nell'edificio. Io inciampai e quasi caddi, ma fortunatamente riuscii a seguirla.
Prima di raggiungere il bagno, il Signor Stronzo girò l'angolo e mi fissò. Gli vidi un misto di rabbia e preoccupazione negli occhi, alla vista del mio viso pieno di lividi. Le sue mani si chiusero in un pugno.
La sua mascella si strinse per cercare di tenere a bada le sue emozioni, ma prima che potesse dirmi qualcosa, seguii Mona in bagno.
"Cos'è successo?" Mi chiese lei a denti stretti. Potevo sentire la sua rabbia.
Mi guardai le mani e poi fissai di nuovo i suoi occhi imploranti. Avevo bisogno di parlare con qualcuno, di tirar fuori tutta la merda che avevo dentro. Così le raccontai tutto, dalla morte di mia madre agli abusi subiti a casa.
Quando finii, lei stava piangendo più di me. I suoi occhi sembravano rotti e sofferenti. Le dissi della notte precedente e le mostrai i miei lividi. Lei scoppiò a piangere.
"Devi denunciarlo!" Mi disse tra le lacrime.
Mi ricordai dell'ultima volta che avevo detto a mio padre che lo avrei denunciato. Mi aveva spinta in un angolo, poi mi aveva puntato la pistola alla testa e mi aveva detto che se lo avessi detto a qualcuno, mi avrebbe cercata.
Mi avrebbe trovata, ovunque mi fossi andata a nascondere. In quel momento avevo capito che mio padre era una persona cattiva, ma ero rimasta con lui temendo per la mia stessa vita. Solo un altro anno, poi non avrebbe più potuto costringermi a restare.
Questo sarebbe stato il mio ultimo anno con lui, prima della mia libertà.
"Non posso, non capisci? La farà sempre franca", dissi con voce rotta. Mi guardai allo specchio e mi dissi la stessa cosa che facevo sempre in quelle situazioni.
"Specchio specchio sul muro, mi rialzerò dopo essere caduta. Che io corra, cammini o strisci, fisserò i miei obiettivi e li raggiungerò tutti!"
La paura aveva due significati.
Il primo era: dimenticare tutto e correre.
Il secondo era: affrontare tutto e rialzarsi.
Continuai a ripetermi che stavo affrontando tutto e mi stavo rialzando, ma in quel momento sentii anche di aver fallito con me stessa. Ero distrutta. Presi un respiro profondo e incrociai lo sguardo di Mona.
"Sta andando via per un po'. Me la caverò, te lo prometto. Ti prego, non dirlo a nessuno".
Nei suoi occhi c'erano confusione e rabbia. Mi voltai, le presi le mani e le feci un piccolo sorriso.
"Sono più forte di quanto pensi e ho un piano". Le feci l'occhiolino e vidi il fuoco tornarle nello sguardo.
Mi abbracciò dolcemente e acconsentì a mantenere la cosa tra di noi, ma solo se avessi chiesto aiuto a sua madre per il dolore. Accettai.
Uscimmo dal bagno e fummo bloccate dal Signor Stronzo e dai suoi amici.
"Cos'è successo?" Disse a denti stretti. Le sue narici si dilatarono, la sua mascella era serrata e i suoi occhi mi sfidavano a mentirgli.
"Niente, principessa. Sto bene", dissi con voce dolce e zuccherosa, sbattendo le ciglia.
"Non prendermi per il culo, Skye!" Ringhiò, con una voce profonda e rabbiosa, più forte di quanto pensassi potesse avere. Presi un gran bel respiro e lo fissai negli occhi freddi.
Come diavolo fa a conoscere il mio nome?
"Levati dalle palle, Dracula", disse Mona accanto a me, afferrandomi la mano e trascinandomi via da loro. Mi misi a ridere guardando la sua faccia rossa e arrabbiata scomparire tra la folla.
"Ciao, principessa!" Lo salutai e gli feci l'occhiolino. Sentii i suoi amici ridacchiare prima di girare l'angolo e dirigerci verso i nostri armadietti, ridendo entrambe e boccheggiando per l'aria quando arrivammo a destinazione.