
"Stai bene?" Chiese Arlene in tono sommesso.
Al suono della sua voce, riuscii finalmente a sbattere le palpebre e a distogliere gli occhi dall'alfa, il cui sguardo mi attraversò. Anche quando mi voltai verso mia cugina, riuscii a sentirne il calore.
"Sono solo pienissima. Mi sembrava tutto buonissimo, quindi mi sono ingozzata".
Arlene osservò il mio piatto mezzo pieno e si accigliò. Si guardò intorno e sospirò, sapendo di non potermi interrogare come avrebbe voluto.
Altri si stavano alzando dal tavolo per prendere il bis o il dessert, e io colsi l'opportunità per scappare.
"Scusatemi, vado a prendere dell'acqua". Mi allontanai dal tavolo mentre Arlene era bloccata nel mezzo di una conversazione e non avrebbe potuto fermarmi. Sentii diverse paia di occhi puntati su di me mentre gettavo via il piatto di carta e il cibo avanzato e mi infilavo nella casa del branco.
Il rumore della musica e del chiacchiericcio concitato si attenuarono non appena la porta si chiuse alle mie spalle. Chiusi gli occhi e mi appoggiai a un bancone. Finalmente potevo fare un respiro profondo senza che nessuno mi guardasse.
Nonostante la sicurezza del silenzio, il mio cuore batteva ancora a mille e non sembrava avere alcuna intenzione di rallentare. Ogni inspirazione era un sussulto e il mio petto si alzava e si abbassava rapidamente mentre cercavo di riprendere fiato da tutto ciò che mi opprimeva.
L'alfa!
Come avevo fatto a scappare da un problema per ritrovarmi in un altro pasticcio?
Di tutte le persone del branco, perché doveva essere proprio l'alfa ad avermi catturata?
E durante il mio primo calore in due anni...
"Che ci fai qui dentro, ragazza?" Mi morsi la lingua per trattenere un guaito quando mia zia entrò in cucina.
"Oh, prendo un po' d'acqua".
"Ecco, lascia che ti aiuti". Si avvicinò subito al mobile e tirò fuori un bicchiere senza esitazione. "Torna dagli altri. Lascia che io e Dale ti presentiamo al resto del branco. È da tanto che non passi del tempo qui".
Zia Corrine intrecciò il suo braccio con il mio per ricondurmi fuori, e io posai il bicchiere d'acqua il più discretamente possibile mentre uscivamo.
I miei zii mi fecero sfilare tra i loro amici, finché alla fine arrivò Arlene a salvarmi dall'imbarazzo.
"Stiamo per far scoppiare i fuochi d'artificio! Ridatemela!" Arlene mi strappò dalle braccia della madre e mi trascinò al campo dove c'erano i suoi amici.
"Anche i fuochi d'artificio?" Borbottai, seguendo il passo veloce di Arlene.
"Facciamo qualcosa di simile a ogni luna piena. Da quando l'alfa ha preso il comando, cinque anni fa, si è preoccupato molto che il branco svolgesse attività insieme, come una vera e propria comunità. Per lui non solo è importante correre insieme in forma di lupi di notte, ma che ci vediamo come amici e familiari alla luce del giorno".
"Non ricordo che tu o la zia abbiate parlato di un nuovo alfa", dissi nel sottile tentativo di ottenere maggiori informazioni sull'uomo.
"Sì, l'ultimo era anziano e non aveva figli suoi, così ha chiesto a un lontano parente di sostituirlo. Alcuni di noi erano scettici nei suoi confronti, e non volevamo parlarne, in caso non avesse funzionato. Ma l'alfa Kye è stato fantastico. La vita di branco non è mai stata meglio di così". Arlene sembrava malinconica.
Kye. Finalmente sapevo il suo nome.
Era lì, in mezzo al campo, con altri che stavano preparando i fuochi d'artificio. I bambini correvano intorno a lui urlando di gioia, e un sorriso gli si posò sulle labbra mentre li guardava.
Nonostante la distanza, era come se sentisse che lo stavo fissando. Kye girò la testa e i nostri occhi si incontrarono immediatamente. Il suo sorriso svanì e, per qualche motivo, vederlo mi fece attraversare il petto da una pugnalata di dolore.
Arlene mi tirò verso i suoi amici e poco dopo ci ritrovammo sotto migliaia di luci esplosive che si sprigionavano nel cielo. L'intera folla eruppe in applausi e risate e l'energia positiva contagiò tutto il gruppo. Più tardi, appena i fuochi d'artificio si placarono e il cielo tornò buio, alcuni lupi si trasformarono e si addentrarono nel bosco.
"Andiamo a correre. Vieni con noi!" Arlene mi strattonò di nuovo il braccio e io mi sentii come un cucciolo al guinzaglio. Mi ero sentita bistrattata per tutto il pomeriggio. All'improvviso si immobilizzò. "Oh-oh", sussurrò.
Stava fissando un punto dietro di me e lo sguardo nei suoi occhi mi fece rabbrividire.
La sua presenza era talmente codificata nel tessuto del mio essere che seppi di chi si trattasse prima ancora di voltarmi. Mi aveva seguita dall'altra parte del Paese. Mi aveva trovata. Lui, la ragione delle mie cicatrici.
"Ciao, River". La sua voce era leggera e sul suo volto c'era un sorriso, ma non nascondeva il guizzo minaccioso nei suoi occhi.
"Jared". Odiavo il tremolio della mia voce mentre lo guardavo, odiavo il modo in cui le mie spalle si abbassavano con rassegnazione.
"Non mi avevi detto che saresti venuta a trovare la tua famiglia", disse guardandosi intorno. I suoi occhi si posarono su Arlene. "Ciao, Arlene. Ne è passato di tempo".
"Non abbastanza, per quanto mi riguarda", ribatté lei, raddrizzandosi con aria di sfida. "I miei genitori l'hanno invitata a stare con noi per un po'. So per certo che l'invito non era esteso anche a te".
Gli occhi di Jared si oscurarono e le sue mani si strinsero a pugno. "Senti un po', sgualdrina, sono venuto qui solo per riprendermi ciò che è mio". Si girò verso di me. "Perché non mi fai vedere dove stai, così prendiamo la tua roba e ce ne andiamo?"
Non era una richiesta.
Sapevo di poter dire di no. C'erano abbastanza persone intorno, Jared non avrebbe fatto una scenata, ma quello che temevo era ciò che avrebbe fatto per vendicarsi della mia disobbedienza.
I miei arti sembravano pesare una tonnellata. Ero stata attenta. Pensavo di aver preso tutte le precauzioni giuste per non farmi trovare.
Jared ringhiò e io capii che ci stavo mettendo troppo a rispondere. Le mie labbra si aprirono per parlare, tuttavia il silenzio continuava ad allungarsi
"Salve a tutti". La voce profonda dell'alfa mi sembrò familiare, e mi scaldò come uno shottino di whisky liscio. "State per andare a correre?"
Le sue parole dissolsero un po' della tensione, ma mi preoccupai di quello che avrebbe detto Jared. Guardai Arlene con espressione sconvolta.
"River". Il suono del mio nome sulle sue labbra mi fece correre un brivido proibito lungo la schiena. Il suo accento lo fece sembrare più eccitante di quanto non fosse.
"E questo è Jared", continuò Arlene con voce meno entusiasta, mentre gli faceva cenno di avvicinarsi. "Conosce la nostra famiglia, ma se ne stava andando. Vero, Jared?"
Jared sorrise, ma era un sorriso diverso da quello che mi aveva attirato verso il lupo che un tempo pensavo di aver amato. "Sono solo di passaggio e ho pensato di prendermi un momento per salutarti". Lo osservai e capii perché per me era stato facile ignorare i segnali di pericolo. Era sempre riuscito a nascondere la sua oscurità dietro un sorriso.
Mi chiesi perché l'alfa non mi avesse domandato chi fosse, ma non avevo intenzione di offrire quell'informazione, se ciò significava libertà da lui per un altro giorno.
Jared inclinò la testa guardandosi intorno. "Fai attenzione qui fuori, River. Potresti facilmente perderti e nessuno ti troverebbe mai". Le sue parole erano una minaccia sotto forma di avvertimento.
L'alfa si mise più dritto. "Da queste parti ci prendiamo cura dei nostri ospiti. River non ha nulla da temere". Il basso ringhio che seguì la sua osservazione fece fare a Jared un passo indietro.
Abbassò la testa e sorrise. "Certo. È solo che a volte River sa essere maldestra… Vero?"
"Non avevi detto che te ne stavi andando?" S'intromise Arlene. "Oh, guarda! C'è un gruppo di miei amici. Ti accompagniamo alla macchina". Lei gli afferrò il braccio e lo allontanò di qualche passo, ma lui si fermò a guardarmi. Era immobile nonostante lei lo stesse strattonando.
La sua forza mi spaventava. Sapevo di cosa era capace. La mia mano toccò distrattamente le cicatrici sopra l'occhio e Jared sorrise.
"Ci vediamo, River". Si allontanò dalla presa di Arlene e si diresse verso il limitare della radura dove aveva parcheggiato l'auto. Arlene mi guardò e io le feci un cenno di ringraziamento. Sapevo che era piena di domande, ma per un attimo riuscii a pensare solo a dove sarei potuta andare.
"Possiamo parlare?"
Mi immobilizzai e riportai l'attenzione sull'alfa. Come avevo fatto a dimenticarmi della sua presenza? Il suo sguardo duro mi teneva inchiodata a terra, senza che nulla nei suoi occhi potesse rivelare ciò che desiderava dire.
Arlene guardò prima uno e poi l'altra, gli occhi spalancati come piatti da portata.
"Vai pure, Arlene". Le feci un cenno, cercando di non incrociare il suo sguardo interrogativo. Esitò un attimo, poi abbassò la testa e corse verso i suoi amici, che erano rimasti in piedi ad aspettarci. Poco dopo si avviarono correndo verso gli alberi.
L'aria intorno a me si fece pesante. L'atmosfera era densa di tensione, che sembrava avvolgerci.
Avrei voluto avere un coltello per tagliarla.