I confini della ragione - Copertina

I confini della ragione

Michelle Torlot

Capitolo 5

EMBER

Non ho bisogno di aprire gli occhi per sapere dove mi trovo. L'odore di disinfettante mi è fin troppo familiare, per via delle lunghe ore di lavoro passate nelle corsie dell'ospedale di casa. Mi sento un po' confusa, ma d'un tratto tutti i ricordi riaffiorano.

La mia lupa che attacca l'alfa, l'essere legata a un palo con un collare d'argento al collo. L'alfa che mi libera e mi costringe a tornare alla forma umana. Perché mi ha fatta incatenare solo per poi lasciarmi andare?

Mi ricordo del medico. L'ago. L'alfa che mi dice che è per il mio bene. Vengo presa dal panico e comincio a cercare la mia lupa.

Niente. Non riesco a trovarla. È come se non esistesse.

Mi lascio andare a un singhiozzo. Come faccio a vivere senza di lei? È ancora peggio di quando Noah ci ha rifiutate; non mi sento più completa.

Essere costrette a indossare un collare d'argento sarebbe meglio di questo. Almeno in quel caso avremmo ancora l'altra. Quello che provava lei, lo provavo anch'io. Ora che non c'è più, non sento più nulla. Sono come un contenitore vuoto. Che razza di crudele bastardo priverebbe una persona del proprio lupo?

Quando apro gli occhi, mi rendo conto di essere sola, la stanza dell'ospedale è buia e silenziosa. Mi viene da ridere… Sembra che io sia destinata a rimanere sola.

Mi alzo in piedi e faccio oscillare le gambe oltre la sponda del letto. Guardo la flebo attaccata alla mano, poi la strappo, ignorando il nuovo dolore acuto che si unisce a quelli che già sento in tutto il corpo.

Dovrei sapere che non è il caso di togliere una flebo in questo modo… Dopotutto ne ho tolte molte in maniera più delicata, ma in questo momento non mi interessa.

Sollevo il camice dell'ospedale e vedo i lividi che mi ricoprono il corpo. Senza la mia lupa non sarò in grado di guarire. Loro devono saperlo bene… Bastardi.

Mi tocco la gola e trasalisco. Il punto in cui il collare d'argento è entrato in contatto con la pelle della mia lupa mi fa ancora male. Quando lei soffre, soffro anche io.

Devo ammettere che aveva ragione. Avremmo dovuto porre fine alla nostra miserabile vita prima che il mio branco ci mandasse qui. Ora farò quello che non le avrei mai permesso di fare prima. Metterò fine alla nostra vita. Non qui, però. In un posto dove nessuno potrà fermarmi.

Scivolo giù dal letto e cerco di tenermi in piedi. Ho le gambe talmente deboli che cedono sotto il mio peso e finisco a terra con un sonoro tonfo.

Guardo la porta, preoccupata che qualcuno possa avermi sentita, ma sembra che anche qui nessuno si preoccupi più di tanto di me.

Mi rialzo e stringo i denti. Non è il momento di essere deboli. Devo essere forte. Se non per me, per la mia lupa.

Guardo di nuovo verso la porta. Nonostante la mia caduta non abbia destato alcun sospetto, tentare la fuga da lì sarebbe avventato.

Mi dirigo invece verso una delle finestre e la faccio scorrere lentamente, rabbrividendo quando scricchiola contro il telaio. Tuttavia, il rumore non sveglia nessuno.

Mi arrampico e mi butto giù, atterrando sull'erba umida sottostante. La temperatura è scesa di parecchio e sento subito il freddo penetrarmi nelle ossa.

Forse morirò di ipotermia prima di trovare una scogliera da cui gettarmi o un lago in cui annegare. Non importa. La morte è morte.

Non so da quanto tempo sono in ospedale, ma non mi interessa. I farmaci che mi hanno somministrato hanno attenuato il dolore dei lividi. Si spera che quando l'effetto sarà finito, io me ne sarò già andata.

Comincio a camminare. Non ho idea di dove stia andando. Cammino nella direzione opposta agli edifici del branco.

Mi avvolgo le braccia intorno al corpo nel vano tentativo di scaldarmi. Mi sento a malapena i piedi.

Dopo aver camminato per ore, inciampo e cado sul nulla. Quando le mie mani entrano in contatto con il terreno freddo, trasalisco. L'ultima cosa di cui ho bisogno è rompermi un polso perché non guardo dove vado.

Quanto è lontano il confine di questo branco? La mia lupa lo saprebbe, ma senza di lei non ne ho idea.

Non piango al pensiero della mia lupa. Non servirebbe a nulla. Inoltre, se voglio portare a termine il mio obiettivo devo essere forte. La mia lupa è sempre stata forte e risoluta nella sua determinazione a porre fine alla nostra esistenza. Lei ha fallito, ma io riuscirò nell'intento.

Ho perso la sensibilità ai piedi, ma inizio a sentire urla e passi che mi inseguono. Cerco di correre, ma inciampo e cado di nuovo nell'erba bagnata, che mi provoca ulteriori brividi di freddo.

Sono in preda al panico; non posso permettere che mi prendano. Mi metto a quattro zampe per cercare di scappare, poi mi rialzo e inizio a correre.

Faccio appena qualche centinaio di metri prima di sentire due braccia forti e muscolose che mi avvolgono, sollevandomi da terra.

Urlo e cerco di divincolarmi. Ogni tanto il mio piede entra in contatto con qualcosa di duro, ma probabilmente sento più male io di questa bestia di uomo che mi tiene stretta.

Non si tratta dell'alfa Scopus, che sto imparando a temere, odiare e a fidarmi in egual misura. La voce è diversa, ma altrettanto determinata e bassa.

Ridacchia. "Non sprecare le energie. Anche se avessi ancora la tua lupa, saresti comunque troppo debole per lottare contro di me. Inoltre, l'alfa mi ha ordinato di riportargli il suo piccolo tributo".

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