Renee Rose
Ginrummy
Il suo cellulare suona. Sono le otto di sera e lui è ancora alla SeCure, ma non è una cosa insolita. Non è cosa insolita per la metà dei dipendenti qui. Gli orari di lavoro sono flessibili e un sacco di programmatori lavorano meglio di notte.
È Mr. X che sta chiamando.
Sì, seriamente. Quello stronzo si fa chiamare Mr. X.
Non sa quanta gente abbia sotto di sé o alle sue spalle. Ha fatto le sue migliori ricerche e tutto quello che è saltato fuori è stato che Mr. X non esiste. Fa parte di una qualche potente cerchia della criminalità organizzata.
Beh, quello che è. Lui ha fatto la sua parte e diventerà un uomo ricco. Magari avviserà Kylie di tornare a nascondersi prima che l’FBI la prenda. Oppure no. Non ha ancora deciso su di lei. Adesso che l’ha incontrata di persona, prova ancora più attrazione e allo stesso tempo repulsione per lei.
Striscia il dito sullo schermo. “Che c’è?”
“Pare che la tua minaccia non sia stata abbastanza convincente.”
Non c’è da sorprendersi. Dopotutto, è Catgirl.
“Come fai a saperlo?”
“Ha i bagagli pronti. Però abbiamo preso la vecchia che vive con lei. Da qui andiamo avanti noi.”
Gli si ferma il respiro nel petto e sente una sensazione di nausea dalla bocca dello stomaco. Oh cavolo. Di certo questi non sono tipi da disdegnare il rapimento. Cristo, probabilmente non disdegnano neanche l’omicidio. Un brivido gli percorre gambe e braccia. Cosa faranno con la vecchia? Cosa faranno con Kylie?
Cazzo.
Non vuole essere parte di tutto questo. Ma vuole i cinquanta milioni di dollari e il passaggio sicuro per uscire dal Paese, come gli hanno promesso. Ed è per questo che si è messo in combutta con uomini come Mr. X. Loro sono gente pronta a fare roba tosta. Basta che lui gli passi il codice.
Ed ora è fottutamente tardi per tirarsi indietro. Sì, ha la sensazione che l’unico modo per uscirne sarà con una pallottola in testa.
***
Kylie
Mi sento tremare le gambe mentre entro nella doccia. Può darsi che sia ancora bagnata, ma di certo non ho freddo. Benedetto ditalino, Batman. Ora vedo i vantaggi dell’avere un vero partner sessuale in carne e ossa. Ti fanno cose che non sapevi essere possibili.
Per tutto questo tempo ero stata più che soddisfatta di guardare porno e usare il mio fidanzato a batteria. Mi sfilo i jeans bagnati e mi levo reggiseno e mutandine.
Chi ti ha visto con queste mutandine dannatamente graziose?
Si è davvero inacidito pensando a qualche altro uomo immaginario? Un brivido mi corre lungo la schiena e mi porto sotto al getto d’acqua. È un segnale d’allarme? Magari è un viscido come l’ho descritto nell’ascensore? Mi terrebbe rinchiusa nello sgabuzzino per frustarmi?
Oh Dio. Solo il pensiero di trovarmi confinata in uno spazio ristretto mi contorce lo stomaco. Cancello l’immagine, concentrandomi invece sulla parte delle frustate.
Mi ha sculacciata.
Un sorriso mi incurva le labbra e porto la mano al sedere, che brucia un po’ sotto al getto d’acqua calda.
Mmm.
Sul serio, è stata la cosa più eccitante che mi sia mai successa.
Ok, sì, è l’unica cosa eccitante che mi sia mai successa.
La mia carta della verginità non ha ancora nessun timbro. Ho vissuto un’esistenza così strana, mai capace di fidarmi di qualcuno. Ho iniziato il college a sedici anni, ho avuto un paio di insoddisfacenti frequentazioni in cui ho abbandonato l’obiettivo di farmi timbrare la carta e ho fatto invece dei pompini. Quindi sì. Questo è il riassunto della mia vita sessuale.
Vergine totale, scopata da un dito di Jackson King nel suo bagno dopo avergli confessato di averlo hackerato da adolescente.
Il fatto che abbia soddisfatto me e non se stesso è un punto a sfavore del discorso del viscido. Ma chi o cosa lo ha fermato quando ero pronta a succhiarglielo? Ha sentito un rumore in casa.
Ha un coinquilino? Una fidanzata segreta? Una governante? Il ragazzo della piscina?
Anche se nessuna delle mie prime esperienze con gli uomini mi è piaciuta, ero davvero prontissima a fare un bel lavoretto a Jackson. Avevo l’acquolina in bocca e non vedevo l’ora di assaggiargli l’uccello, di farlo godere come una pornostar.
Speriamo che ci sia un’altra occasione. Mi passo ancora le mani sul sedere, ricordando la sculacciata. Appoggiando la fronte contro la parete, mi porto le dita tra le gambe.
Ohhh. Non sono mai stata così bagnata e gonfia. Immagino Jackson che entra nella doccia con me, la sua enorme stazza che mi spinge contro la parete. Mi ordinerebbe di mettere le mani sul muro e mi schiaffeggerebbe il culo fino a che non lo implorassi di smettere. Poi mi afferrerebbe per le anche e affonderebbe dentro di me da dietro. Ondeggio a ritmo con le mie dita, muovendole in mezzo alle gambe.
Un secondo orgasmo mi scuote e sento la testa ondeggiare per l’eccitazione. Respiro profondamente fino a che lo stordimento svanisce, quindi chiudo il getto d’acqua.
Quando esco dalla doccia, i miei vestiti bagnati sono spariti e sul ripiano sono ordinatamente piegati un asciugamano e una felpa della MIT.
Un lampo di imbarazzo mi attraversa. È entrato mentre mi stavo masturbando? Afferro l’asciugamano e mi asciugo, poi mi infilo il felpone. È enorme addosso a me e mi arriva a metà coscia come fosse un vestitino, che va bene, dato che non mi ha lasciato delle mutandine. Mi piace tantissimo indossare qualcosa che appartiene a lui. Mi tiro la felpa sotto al naso, inalando il suo tenue odore.
Non riesco a smettere di pensare alle sue dita grosse dentro di me, e improvvisamente muoio dalla voglia di avere il pacchetto completo. Avere il timbro di Jackson King sulla mia carta della verginità sarebbe come esaudire la massima fantasia di una giovane hacker. No, ma qui non si tratta di spuntare una casella o di farlo con una persona famosa.
Qui si tratta dell’attrazione puramente animale che c’è tra Jackson e me. L’ho avvertita nell’ascensore, prima ancora di sapere che era lui. Ho adorato il modo autoritario con cui si è preso cura di me là dentro, come ho anche adorato il modo in cui mi ha piegata sul bancone del suo bagno per sculacciarmi.
Cerco una spazzola, ma questo sembra essere un bagno degli ospiti. Non ci sono oggetti personali da nessuna parte, solo carta igienica e articoli per la pulizia. Mi passo le dita tra i capelli umidi ed esco.
La casa – villa, in realtà – è gigantesca. Scendo la scala curva e seguo i rumori che arrivano da un’enorme cucina aperta.
Però, l’uomo dietro alla massiccia isola in marmo che mangia affettati misti prendendoli con le mani da un contenitore non è Jackson.
“Oh, ciao,” dico come una stupida, facendo un piccolo cenno di saluto con la mano.
È giovane – avrà la mia età o anche meno – con i capelli biondi che sono arruffati e bagnati come i miei. Le sue braccia affusolate sono solide e ricoperte di tatuaggi, ed entrambi i lobi delle orecchie sono perforati da numerosi anelli. Ha la posa ferma di un predatore e mi guarda avvicinarmi senza muoversi.
Tiro più in basso il bordo della felpa di Jackson. “Io sono, ehm, Kylie,” provo a dire, sperando che anche lui si presenti.
“Sam.” In un certo senso ho l’impressione di non piacergli.
Cazzo. Jackson è gay? “Tu e Jackson siete…?”
Il suo atteggiamento freddo viene momentaneamente infranto da un abbozzo di sorriso. “È mio fratello.”
Resto a bocca aperta. Chiaramente non un fratello di sangue. Non si assomigliano per niente. “Pare che sia stato anche tu, ehm, fuori alla pioggia.”
Il giovane non risponde.
“Vedo che hai conosciuto Sam.” La voce profonda di Jackson mi fa fremere, come una seconda ondata di rimbalzo dopo il mio orgasmo. Orgasmi. Plurale. Perché è stato sicuramente lui il responsabile di entrambi.
Sposto gli occhi dalla enorme montagna di uomo dai capelli scuri che è Jackson, all’uomo più snello e dai colori chiari, e ancora non sono convinta che non siano amanti. Soprattutto perché Sam lancia a Jackson un’occhiata del tipo Che cazzo è ‘sta roba?
Perché questo mi fa venire una disperata voglia di affermare che Jackson è mio? Ma non è un mio diritto. Io sono in grossi guai con il mio datore di lavoro e i miei ricattatori, ed è necessario escogitare un piano.
“Vuoi vedere cosa c’è in quella chiavetta?” gli chiedo. La busta con la minaccia e la chiavetta è scomparsa dal bagno mentre facevo la doccia. Anche se non è ancora successo niente di terribile, ancora non sono sicura di aver fatto la scelta giusta venendo qui. Fidandomi di qualcuno che non appartiene alla mia famiglia. Ricordo com’è andata a finire male per mio padre.
Jackson annuisce in modo freddo. “Sì. Ci darò un’occhiata,” dice con tono noncurante.
Odio essere esclusa in questa faccenda. Voglio dire, sono una hacker con le contropalle. Devo vedere questo codice, capire cosa stanno tramando. Soprattutto perché ci sono coinvolta. “Posso vederlo?”
Jackson mi osserva per qualche secondo. “Non l’hai guardato prima di portarlo qui?” Nonostante il fatto che abbiamo appena condiviso il momento più intimo ed eccitante della mia vita al piano di sopra, lui ora si è ritrasformato nel signor Solo-Lavoro. Il suo volto potrebbe essere scolpito nel granito.
Scuoto la testa. “Vuoi che lo guardiamo adesso?” Non aggiungo quell’insieme che ho a fior di labbra.
“Prima voglio guardarlo io,” dice. “Da solo.”
I campanelli d’allarme si mettono a suonare. Ho fatto un errore a portarlo qui? A non gestire le cose da sola? Ora il mio destino è nelle sue mani e ancora non so come intenda giocarsela. “Sono piuttosto brava anche io come hacker.”
Socchiude gli occhi. “Così mi pare di ricordare.” Guarda Sam. “La mia nuova dipendente è risultata essere l’unica hacker ad avere mai decifrato il mio codice.”
Non riesco a distinguere se sia ancora incazzato o se ho forse notato una nota di ammirazione nella sua voce.
“E a quanto dice ha appena ricevuto una lettera minatoria dove le chiedono di installare un malware nel nostro sistema in cambio del silenzio riguardo alla sua identità di hacker.”
A quanto dice. Il colpo mi trafigge la bocca dello stomaco come un pugno micidiale. Non mi crede? Ovviamente no. Perché dovrebbe? Solo perché ci vorremmo spogliare a vicenda non significa che dovremmo fidarci l’uno dell’altra.
Solo che io voglio fidarmi di lui. Ed è probabilmente solo la mia sbagliatissima cotta adolescenziale, ma voglio disperatamente che anche Jackson creda a me.
Ma diavolo, magari il suo piano è di consegnarmi alla polizia non appena avrà capito con chi ha a che fare.
***
Jackson
Kylie impallidisce quando dico che a quanto pare è stata ricattata. Se non fosse per l’espressione ferita che le si legge in viso, avrei potuto restare indeciso nei suoi confronti. Ma è così palpabile, giuro che ne sento l’odore.
E poi questa nuova parte di me mirata all’appropriarsi di una compagna mi induce ad avvicinarmi e rimediare alla ferita che le ho inflitto. Sta dalla parte opposta dell’isola della cucina rispetto a Sam, che nel frattempo si è mangiato tre confezioni di affettato da quando siamo tutti e tre qui. Scivolo accanto a lei e lancio un’occhiata di avvertimento a Sam riguardo alla carne. Lui fa immediatamente sparire le confezioni vuote, gettandole nella pattumiera, che ovviamente non fa che attirare ulteriori attenzioni sul suo appetito carnivoro.
“Avevi fame,” osserva Kylie.
Il mio udito di lupo sente il brontolio del suo stomaco. Non voglio darle da mangiare. Beh, è una bugia, ma devo farla uscire di casa mia prima di fare qualcosa di imperdonabile a quel suo piccolo corpo sexy. Non indossa altro che la mia felpa, che la fa apparire incredibilmente eccitante, con una spalla che scivola fuori. Sapendo che il suo sesso nudo è così vicino e a portata di mano, stringo i pugni e li appoggio sul bancone.
“Hai fame, Catgirl?”
Lei esita un momento, poi scuote la testa.
Io piego la testa di lato, infastidito dalla sua bugia. Se non ci fosse Sam qui con noi, le darei una seconda sculacciata per questo. “Dillo a voce alta,” dico con voce morbida.
“Cosa?”
“Stai mentendo. Voglio sentirtelo dire ad alta voce, in modo da sapere che suono fa quando racconti frottole.”
Lei arrossisce fino alla punta delle orecchie e questa volta godo del suo imbarazzo. Ho visto centinaia di dipendenti o altri lupi agitarsi irrequieti sotto al mio dominio, ma la cosa non mi ha mai eccitato così. Voglio spogliarla, legarla e interrogarla con un frustino in mano.
E quest’immagine non mi sta aiutando a restare distaccato. Per niente.
Ma lei ribatte, alzando il mento. “Non sono venuta qui per mangiare.”
“Sam, dalle qualcosa,” ordino. Non appena lo dico, mi rendo conto che a lei può apparire strano. Senza la lente delle dinamiche del branco, lo vedrà esattamente come il ragazzo che prende le frustate, quello che aveva descritto lei stessa nell’ascensore.
A peggiorare le cose, Sam mi lancia un’occhiata di rimprovero prima di obbedire. Tira fuori una confezione di affettato, del pane e qualche condimento e inizia a preparare un panino senza chiederle cosa le piace.
Mi infastidisce più di quanto dovrebbe, ma lo stomaco di Kylie si lamenta ancora e lei sta guardando il cibo con apprezzamento, quindi immagino che sia ok.
“Ti porto a casa. Domani verrai al lavoro, come se non fosse successo niente. Fammi sapere se ti contattano ancora,” le dico, mentre Sam prepara il panino.
Lei sbuffa impaziente, ma abbassa il mento. “Sì, signore.”
L’uccello mi diventa duro come la roccia. Sentire quelle parole, le stesse che in genere mi danno ai nervi quando escono dalle bocche di dipendenti leccaculo, mi suona come una totale vittoria. Questa volta me la immagino in ginocchio ai miei piedi, intenta a guardarmi con quei bellissimi occhi striati d’oro, in attesa di un mio ordine.
Sam fa scivolare il piatto sul bancone, verso Kylie.
“Grazie, Sam.” Prende il panino e mangia con gusto sufficiente a soddisfare quella parte di me che tende costantemente a fornirle agio.
“Ti serve che faccia qualcosa?” mi chiede Sam.
“Porta dentro la sua bicicletta che è fuori dal cancello e mettila nel bagagliaio della Range Rover.”
Lui annuisce e se ne va. Io mi giro verso Kylie. “Se dici una sola fottuta parola sul fatto che quello sia il ragazzo che frusto, ti piego a novanta e ti sculaccio di nuovo.”
Le sue labbra si tendono in un radioso sorriso. Si toglie l’ultima briciola di panino dal lato della bocca con la lingua. Quel lampo rosa me lo fa rizzare un’altra volta. Quasi non riesco a contenermi con questa ragazza.
“È un fratello adottivo. L’ho preso con me quando era un adolescente senzatetto.”
“Uhm.” Prende un altro morso. “Questo è un fatto che non è mai stato raccontato di te.”
“Non devo al pubblico nessuna parte della mia vita privata.”
“Sono brava a mantenere i segreti. Di solito.” Arrossisce di nuovo.
Inarco un sopracciglio, cercando di capire cosa l’abbia fatta arrossire.
“Per qualche motivo, starti vicino è come bere il siero della verità.” Non riesce quasi a guardarmi negli occhi, e lo trovo così dannatamente affascinante che allungo un braccio e glielo stringo attorno alla vita, tirando il suo corpo contro il mio e mettendo l’altra mano dietro alla sua testa.
“Farai meglio a non mentirmi mai, ragazzina, o te ne farò pentire tantissimo.”
Le si mozza il fiato in gola, le labbra socchiuse. L’inebriante odore dalla sua eccitazione mi arriva alle narici e fa ululare il mio lupo. L’eccitazione mi scorre sottopelle. “Ti piace punire.” Sembra essere senza fiato. “Questo l’ho capito bene.”
“Hai capito.”
Prima di stanotte l’avrei negato, ma devo ammettere di essermi fottutamente divertito a schiaffeggiarle il culo. Mordicchio le sue labbra, assaporandone la dolcezza. Con grande sforzo mi stacco da lei e le prendo il mento tra le mani. “Quindi, la verità. Chi pensi che ti abbia lasciato quella busta?”
Una linea si forma tra le sue sopracciglia. “Non lo so. Per questo voglio vedere il codice. Potrei riconoscerne lo stile.”
Annuisco. “Ok. Magari domani. Dopo che ci ho dato un occhio io.” Ancora non mi fido di lei pienamente, e ho bisogno di guardare il malware quando non sono distratto dalla sua presenza inebriante. “Andiamo.”
Devo far rimettere a questa donna i suoi vestiti e portarla fuori di casa mia. Prima di perdere del tutto la testa.
***
Kylie
Non voglio che Jackson mi accompagni a casa, ma sono troppo esausta per un’altra lunga pedalata sotto la pioggia. Il fatto è che non mi piace salire in macchine altrui. Mi va bene la mia. Conosco le uscite e ho pieno controllo del veicolo. Posso abbassare i finestrini se divento irrequieta.
Sono sollevata nel vedere che è una Range Rover e non una di quelle minuscole auto sportive. Salgo al posto del passeggero e gli do il mio indirizzo. Tengo la mano sulla maniglia della portiera.
Jackson si ritrasforma nel signor Silenzio. Questo gioco di caldo e freddo ha l’effetto di una serie di frustate. So che gli piaccio. Anche se totalmente priva di esperienza, ne sono sicura. Ma è come se lui non volesse che fosse così. E non è una questione di fiducia, perché era così anche prima di venire a sapere che sono Catgirl.
Esce dal vialetto di casa sua e imbocca la strada. “Cosa ti è successo?” mi chiede sottovoce.
Mi volto a guardarlo e lui indica con un cenno del mento le mie nocche bianche sulla mano con cui stringo la maniglia.
“Gli spazi stretti. È successo qualcosa.” Senza che glielo dica, apre il finestrino di una fessura, anche se sta piovendo.
Mi si chiude la gola. Non ne ho mai parlato, neanche con Memé. Non sono neanche sicura di poterlo fare. Ma Jackson è il mio siero della verità.
“Sì,” borbotto. “È successa una cosa.” Chiudo gli occhi per cacciare il ricordo del panico. Le mura che si chiudono su di me, le spalle schiacciate, la testa che non si può sollevare, il buio tutt’attorno.
Lui non dice nulla e lo spazio tra di noi si dilata come un invito, una pozza di realtà nella quale potrei saltare, se solo osassi.
Posso? Essere reale con qualcuno che non è parte della famiglia?
No. La morte di mio padre mi ha dato la prova che non ci si può fidare di nessun altro che della famiglia. Ma le mie labbra si muovono lo stesso. “Una volta sono rimasta bloccata in un posto stretto. Non c’era nessuno attorno che potesse aiutarmi, e mi ci sono volute ore per venirne fuori.” Sto stringendo la maniglia con tanta forza che potrei strapparla.
Jackson mi prende la mano e me la stringe. “Mi spiace che ti sia capitata una cosa del genere. Sei al sicuro adesso, piccola. Hai la tua uscita. Mi basta un secondo di preavviso, se ti serve, e accosto. Ok?”
Qualcosa mi si stringe nello stomaco, mentre il tormento di quel particolare trauma cerca di riemergere. Inspiro con forza. Non se ne parla proprio che mi metta a strillare nella macchina di Jackson King. Che andasse a fanculo anche lui per avermi fatto tirare fuori questa storia.
“Ehi.” Lascia la mia mano e ruota il braccio per premere contro il mio plesso solare, come ha fatto nell’ascensore. “Va tutto bene.” Fa per accostare, ma scuoto la testa.
“No. Continua a guidare. Non è la macchina,” dico con voce strozzata.
“Raccontami il resto,” mi chiede. La sua voce è dura, come se improvvisamente fosse furioso. Per che cosa, non me lo posso proprio immaginare.
Scuoto la testa. “Lascia perdere.”
“Non se ne parla. Racconta, altrimenti accosto e ti aiuto io, piccola.”
Non ho idea di cosa significhi ti aiuto io, ma non voglio che questa faccenda diventi niente di importante. “È successa una cosa brutta. Subito prima,” dico frettolosamente.
La sua mano stringe con maggiore forza il volante.
“Non quello che stai pensando.” Immagino che possa pensare a qualche abuso sessuale o molesta di bambini, perché il suo volto ha assunto davvero una sfumatura omicida.
“Niente di sessuale.” La mia gola parla da sola. “Ho visto un omicidio.”
Omicidio. La parola ha un taglio affilato che carica di pericolo lo spazio confinato dell’abitacolo. Il pericolo nel quale mi trovo fin da quella notte. “Dovevo restare nascosta. E poi, più tardi, non riuscivo a trovare l’uscita. Penso che lo shock mi abbia confuso.”
Jackson impreca. “Quanti anni avevi?”
“Sedici.” Un anno dopo aver hackerato la SeCure, quando ancora pensavo di essere la ragazza più intelligente dell’universo.
Allenta la pressione contro il mio sterno e fa scivolare la mano dietro alla mia testa. “Grazie per avermelo detto.”
Tiro giù il finestrino del tutto e lascio che la pioggia mi bagni il viso, nascondendo la lacrima di rabbia che mi è scesa dagli occhi. A dire il vero, mi sento incredibilmente più leggera. Come se dire quelle parole a voce alta avesse aperto il lucchetto dell’oscurità che avevo intrappolato nel mio petto otto anni fa. Il buio si solleva da me e rimane sospeso nell’auto, sempre triste e deprimente, ma meno intenso. Me lo immagino risucchiato fuori dalla finestra, che se ne torna nell’etere. Qualsiasi cosa sia l’etere.
“Non l’ho mai detto a nessuno,” dico alla fine, la mia voce leggermente roca per le lacrime trattenute.
“Ora l’hai fatto.”
Un profondo senso di conforto mi avvolge come una coperta. Per la prima volta in anni – da quando è morta mia madre – mi sento come se non stessi portando il peso del mondo sulle mie spalle. Da sola. Qualcuno condivide il mio segreto, e il mondo non è imploso.
Non ancora, comunque.
Può darsi che pagherò più avanti per questo. Appoggio la testa allo schienale, rinfrescata dalla pioggia, calmata dal fruscio dei tergicristalli di Jackson.
Accosta davanti a casa mia. “Ci vediamo domani.”
Per un momento, considero l’idea di scappare di nuovo. Ho fatto la cosa giusta dando a Jackson la chiavetta, ma se la cosa diventerà troppo rischiosa, se i ricattatori chiameranno l’FBI, per me sarà meglio lasciare la città.
Solo che il pensiero di non vedere Jackson domani è insopportabile. Apro la portiera ed esco. “Sì. A domani.”
***
Jackson
Sono stupefatto dal mio bisogno di proteggere Kylie. Mi viene voglia di massacrare qualsiasi drago le abbia mai mostrato i denti. Riparare ai torti che ha sofferto. E devo essere pazzo, perché appena arrivo a casa, cerco informazioni su di lei, controllando i database della polizia e degli assistenti sociali con il suo nome e il codice fiscale. Non mi sorprendo quando non trovo niente.
Il nome e codice fiscale che ha usato per la candidatura all’impiego da me sono probabilmente falsificati. Una ragazza come lei, una hacker del suo calibro, ha di certo le abilità per creare credibili identità false. Poteva riuscire ad accedere a qualsiasi Dipartimento Veicoli a Motore, all’Ufficio Anagrafe. Il potere che poteva esercitare è sorprendente. Eppure non ha mai rubato nulla dai miei clienti quando ha hackerato la SeCure. È stato un gioco. Era solo una bambina.
Qualsiasi sia la sua storia, la sua vita non è stata facile. Nessun adolescente si allontana da un omicidio a cui ha assistito senza una qualche cicatrice.
Io dovrei saperlo.
Non soddisfatto, giuro di continuare a scavare fino a che non scoprirò esattamente quello che è successo alla mia piccola hacker. Ma per ora ho una cosa molto più urgente su cui fare una ricerca. Su un computer portatile completamente resettato di fabbrica che tengo solo per testare codici, apro la chiavetta e studio il malware che Kylie avrebbe dovuto usare per infettare la SeCure.
Non ci trovo alcun senso, quindi inizio a riflettere su quale angolazione stiano cercando di prendere.
E vorrei aver permesso a Kylie di restare, in modo da poter guardare la cosa insieme.
Domani. In un posto pubblico dove sono meno tentato di toccarla. Domani ci lavoreremo sopra insieme.
Non metto in questione quanto questa cosa mi sembri giusta, perché niente ha senso nell’effetto che Kylie ha su di me.
Solo Kylie. Solo Kylie ha senso per me.
***
Kylie
Le luci sono accese nella piccola casa che abbiamo affittato vicino all’università. Ho scelto quello stabile perché è trendy e ci sono un sacco di ristoranti e negozi a pochi passi. Scelgo sempre posti dove sia facile mescolarsi con il resto della gente.
“Memé?” Apro la porta e poi mi fermo. C’è qualcosa che non va. Con la pelle d’oca entro, cercando di capire cosa ci sia di diverso.
Niente sembra essere fuori posto.
“Memé?” La mia voce è acuta e spero che lei non sia già a letto.
Mi guardo attorno in cucina e vedo le borse della spesa ancora piene sul pavimento. I campanelli d’allarme iniziano a suonare a tutto spiano.
Il mio telefono trilla. Lo tiro fuori dalla tasca e fisso le parole sullo schermo: numero privato. In condizioni normali non risponderei, ma c’è qualcosa che non va, quindi striscio il pollice sullo schermo e mi porto il cellulare all’orecchio. “Pronto?”
“Non hai seguito le nostre istruzioni.” La voce è modificata con il computer. La rabbia ribolle dentro di me.
“Che si fottano, le vostre istruzioni.”
“Ci fotteremo tua nonna. Avresti dovuto fare quello che ti avevamo detto.”
Il ghiaccio mi scorre nelle vene. Barcollo sui piedi. “Memé?” grido, correndo per la casa.
“Installa il codice, e rivedrai la vecchia.” La chiamata termina prima che possa ribattere. Non sono sicura di cos’avrei detto. Molto probabilmente: Io vi ammazzo, figli di puttana!
Le mani mi tremano per la furia mentre ripasso di nuovo la casa di corsa. Ovviamente so che non ha senso. È sparita. L’hanno presa loro. Non ho altra scelta che far crollare l’impero multimiliardario di Jackson King per riaverla indietro.
Mi viene da vomitare. E grido. Per lo più vorrei mettere le mani su chiunque abbia pensato che rapire un’anziana signora sia stata una buona idea e sbattergli un batticarne giù per la gola.