Alfa ribelli - Copertina

Alfa ribelli

Renee Rose

Capitolo Tre

Kylie

Sono passati tre giorni e non ho visto Jackson King una sola volta. Non da quando mi ha buttata fuori dal suo ufficio. Tre giorni che mi rivedo in loop nella mente la nostra conversazione. Dico a me stessa di lasciar perdere, ma sono anni che ho questa ossessione per King, e questa cotta è sbocciata e fiorita alla grande dopo il nostro incontro in ascensore.

Il lavoro va avanti. Stu mi tiene occupata con nuovi firewall da impostare e altra roba noiosa.

Nel frattempo, mi metto sempre gonne e tacchi in caso mi capiti di rivedere King. Non che voglia fare colpo su di lui. Voglio solo che quel mega stronzo veda quello che si perde.

Oh, ma chi voglio prendere in giro? Voglio comunque che lui mi noti. Che venga nel mio ufficio e mi ringhi addosso, che mi pieghi sulla scrivania, mi tiri su la gonna e… mmm.

Benedetto arrapamento, Batman.

“Kylie? Tutto bene?”

Stu e il resto del team mi guardano dall’altra parte del tavolo da conferenza.

“Certo.” Mi metto a sedere più dritta per ricordare gli ultimi minuti della riunione, ma tutto quello che riesco a recuperare sono fantasie su Jackson King. Dannazione. “Non intendevo mettermi in modalità salvaschermo. Scusate. Ho solo bisogno di un altro caffè.”

Qualcuno ride del mio commento sul salvaschermo, ma il suono non mi giunge piacevole alle orecchie. Mi irrigidisco. Sono la più giovane in questo team, ma lavoro sodo come tutti quanti. Forse anche più di loro.

Alla faccia di trovare la mia tribù.

“Stavi sospirando un sacco.” Stu non vuole lasciar cadere il discorso.

“Ho le ginocchia che mi fanno un male cane.” Che non è una bugia. Le tengo piegate sotto al tavolo e strofino i piedi contro le gambe della mia sedia. Domani dovrò tornare alla normale tenuta da geek con jeans e sneakers. Fanculo King. Io non mi vesto per nessun uomo.

La riunione finisce e io continuo a digitare sul mio portatile, chiudendolo solo quando Stu si appoggia al tavolo, davanti a me.

“Ti stai ambientando bene?”

“Certo.” Mantengo un sorriso freddo. Stu mi piace, ma la sua costante presenza attorno a me sta iniziando a darmi ai nervi. Continua a tentare di fare amicizia, ma ho la sensazione che mi voglia stare vicino solo perché pensa che sia gnocca.

Immagino che questo spieghi il suo ardente desiderio di assumermi.

“Il grande capo ti ha buttata giù?” mi chiede, e io raddrizzo la schiena di scatto come se mi avesse gettato addosso una secchiata d’acqua gelata.

“Cosa?”

“So che è passato per il tuo ufficio qualche giorno fa. Da allora non ti ho più vista tanto contenta.”

Benedetto stalker, Batman. Non che io possa permettermi di giudicare, però insomma!

“Sei il mio fratello maggiore Stu? Mi controlli?”

“Oh, no!” Arrossisce. Poverino. Evidentemente gli piaccio, ma sta tentando di rimanere professionale. Che è più di quanto io abbia fatto con Jackson. “Sto solo cercando di aiutarti a capire come funziona. Mi sento responsabile, perché sono stato io a farti assumere.”

Tu hai assunto le mie tette. La me-irriverente tira indietro la testa. E il mio cervello è venuto ad accompagnarle.

“So che Jackson King è un nome grosso, ma non è un tipo gentile. A dire il vero, è più una specie di stronzo. Qui in giro ha la reputazione di essere un cazzone imperiale. Le donne gli sbavano sempre dietro.” Ora Stu sembra piagnucoloso e geloso. “Ma lui le tratta come tutti gli altri dipendenti. Dice a malapena una parola che non sia scortese.”

“Sto bene, Stu. Non mi ha detto niente di scortese. E lavorare qui mi piace, finora.”

“Bene, ottimo.” Stu fa un tentativo. “Programmi per il finesettimana?”

Che palle.

“Esco con il mio ragazzo,” dico allegramente, ovviamente mentendo.

Stu si alza dal tavolo, allontanandosi da me. Ovvio, è un po’ che gli invio delle ultra-vibrazioni che urlano Non sono interessata, ma ora che pensa che ci sia un uomo, pare aver capito.

Deficiente.

“Giusto,” dice. “Beh, vado al meeting con quelli della finanza. Stiamo impostando un progetto per testare la loro struttura prima della compilazione dei prossimi moduli 10-Q. Che sono tra una settimana. Può darsi che abbia bisogno di te.”

“Ottimo.” Fingo entusiasmo alla promessa di possibili straordinari e promuovo mentalmente Stu da deficiente a testa di cazzo.

“Ok.” Stu si mette a tracolla la borsa del suo portatile. “Adesso vado su. Vuoi che ti tenga l’ascensore?”

“No, grazie.” Mi trattengo dal fare una battuta sarcastica. “Prendo le scale. Ho bisogno di esercizio.” Quando i suoi passi svaniscono in lontananza, mi lascio andare a un sospiro.

“Stu ti sta dando fastidio?” Una voce bassa mi fa sobbalzare e quasi mi rovescio il caffè addosso. King entra disinvolto, come se fosse pronto per la copertina di GQ. “Posso fare una parola con lui se si sta comportando in modo inappropriato.”

“No. Nessun problema.” Signore, mi ero dimenticata di quanto larghe siano le sue spalle. “Nessun problema.” Sto balbettando. “È solo impacciato. Tutti i fanatici del computer lo sono.”

“Lo siamo?”

Inarco un sopracciglio. “Tu in particolare.” Merda. Eccolo qua di nuovo, il siero della verità. “L’ultima volta che ti ho visto, mi hai detto di andarmene. Nessuna spiegazione. Niente di niente. Mi hai cacciata via e non mi hai detto perché.”

“Lo sai il perché.” La sua voce bassa e profonda mi fa avvampare le guance e cinguettare la passera.

Per non darlo a vedere, ruoto gli occhi al cielo. “Stu mi ha appena chiesto la stessa cosa di te. Voleva assicurarsi che non mi stessi dando fastidio o non fossi maleducato con me. Pare che tu abbia una certa reputazione al riguardo, signor Meschino.”

“E tu cosa gli hai detto?” La sua mandibola è più tesa del normale.

“Gli ho detto che hai soffiato e risoffiato, ma non mi hai buttato giù la casa. Rilassati.” Sorrido e la sua tensione si allenta un poco. “Ho omesso la parte dove dicevi che non era sicuro che io restassi.” Mi guardo attorno nella sala conferenze ora vuota. “Adesso che mi viene in mente. Hai detto che non dovremmo stare da soli.”

Un gruppo di persone passa fuori dalla porta aperta, chiacchierando a voce alta.

“Non siamo da soli. E non dovremmo esserlo.” Mi perfora con un’occhiata e i suoi capelli scompigliati gli ricadono sulla guancia scavata. Dovrebbe essere illegale per un uomo avere un aspetto così bello.

“Penso di poterti gestire.” Forse.

Il lampo di qualcosa gli attraversa il volto. Distoglie lo sguardo. “Tu non sai niente di me.”

“So che non sei mai uscito con nessuno,” spiattello, più che altro per distrarlo dal pensiero che rende dolorosa l’affermazione.

“Così mi hai detto. Stai ancora facendo la stalker, piccola hacker?”

“No.” Sì.

Sorride come se sapesse che è una bugia.

Rispondo al sorriso. “Grazie. Posso gestire Stu. Ma è bello sapere che qualcuno mi tiene d’occhio.”

“Se c’è qualcuno qui che ti importuna, voglio saperlo. Chiaro?”

Mi sento attraversare da un brivido, ma lo nascondo.

“Wonder Woman oggi?”

“Cosa?” chiedo, prima di rendermi conto che sta parlando della mia maglietta. “Oh, sì. Beh, tu sei Clark Kent,” ribatto, indicando con un cenno il suo completo con cravatta.

“Ahi.” Fa una smorfia. “Era un nerd.”

“Era Superman,” lo correggo. “E tu sei un nerd.”

Scrolla le spalle. “Nerd miliardario.” Ha un sorriso appena accennato sulle labbra. Ora è bello. Se sorridesse, sarebbe da mozzare il fiato. “Come Iron Man. O Batman. È più il mio stile.”

“Oppure Lex Luthor. Magari non sei un eroe.”

Con mia costernazione, il sorriso che aveva a fior di labbra scompare. “Già,” borbotta. “Sono decisamente il cattivo.”

“Stavo scherzando. Non sei un cattivo.” Mi avvicino e gli poso una mano sul braccio prima di ricordare che sarebbe meglio di no. “Ti comporti come quello grosso e cattivo, ma so come sei veramente. Tu sei quello che alla fine arriva a salvare tutti. Ricordo quello che hai fatto per me nell’ascensore.”

“No,” dice lui. I suoi occhi guardano la mia mano e poi tornano al mio viso. Levo la mano e faccio un passo indietro, arrossendo un po’. “Ti stai sbagliando.”

Tutto il mio corpo si surriscalda per la sua presenza così vicino a me. Lui continua a rifiutarmi, ma resta il fatto che è ancora qui. So che prova qualcosa per me. È solo che ha troppa integrità per scattare in azione. “Allora perché sei qui? Stai marcando il tuo territorio?”

“Io? Sei tu quella che ha mandato in ritirata la mia segretaria.”

“Non è vero,” ribatto. Poi sorrido. “Quella è stata solo una piccola zuffa tra gatte. E se la meritava.”

Lui alza le mani. “Va bene, gattina. Tieni a bada le unghie.” Sorridendo, se ne va a grandi passi, con atteggiamento quasi… contento?

M

a che roba è stata?

***

Jackson

Il mio lupo piagnucola un po’ mentre mi allontano dalla mia piccola supereroina, ma si comporta bene. Voleva che chiudessi la porta e la marchiassi con il mio odore, in modo che quelli come Stu stiano alla larga, ma è soddisfatto che almeno l’abbiamo vista.

Non dovrei arrischiarmi ad andarle vicino, ma non posso farne a meno. Almeno ho provato a me stesso che posso stare nella stessa stanza insieme a lei senza saltarle addosso. Sono davvero contento che non abbia paura di stuzzicarmi.

Tu sei Clark Kent.

Se solo sapesse.

Lascio stare l’ascensore e prendo le scale, salendole due gradini alla volta.

La mia segretaria mi guarda stupefatta al mio passaggio. Mi rendo conto che quella strana sensazione che ho alla faccia è un sorriso.

“Signor King?” Mi giro e il profumo della mia segretaria mi colpisce. Gli svantaggi di un buon naso.

“Sì, Vanessa?”

“Ha una chiamata da Garrett. Nessun cognome. Non la disturberei, ma mi ha detto di passarglielo…”

“La prendo.” Da quando Kylie ha avuto quel battibecco con lei, la mia segretaria è più sottomessa. Mi viene ancora duro come la roccia quando penso a quel confronto. Se Kylie fosse una mutante, sarebbe una femmina alfa. Perfetta per il mio lupo. Abbastanza forte per sopportare la mia prepotenza, abbastanza sexy da tenermi stretto in pugno con le sue piccole dita. Abbastanza dolce da farmelo diventare duro al solo pensiero di infilarglielo dentro. Di lunghe nottate passate a correre sotto la luna piena. Solo noi due all’inizio, ma un giorno con dei cuccioli…

Scuoto la testa e sollevo il ricevitore. Devo essere davvero matto da legare se sto pensando a dei cuccioli.

“King?” L’alfa di Tucson sembra tentare di fare la voce grossa. Ha ventinove anni ed è uno dei più giovani alfa negli Stati Uniti. Gli è di aiuto che suo padre è a capo di un grosso branco a Phoenix e che supporta il potere del figlio nella zona. “Volevo solo dare una controllata.”

La maggior parte degli alfa hanno una vena protettiva. Garrett non è diverso. Ma io non appartengo al suo branco. Se un alfa tentasse di includermi nel suo gruppo, sarei costretto a spiegare che sono un lupo di nessuno. Rapidamente e violentemente. Il mio lupo tollera i ‘controlli’ di Garrett, perché pensa al giovane alfa come a un fratellino, un po’ come Sam. Però io e Garrett siamo comunque attenti nelle nostre interazioni. In una lotta per il dominio, io vincerei, ma non ho alcun interesse nel conquistare il suo branco. E sarebbe un peccato avere la meglio su di lui, perché il tipo mi piace.

“Garrett,” rispondo. “Luna piena questa settimana.”

“È per questo che ti chiamo. Mio padre ha organizzato dei giochi d’accoppiamento nella terra del branco vicino a Phoenix. Volevo invitarti a correre con noi.”

“Tu vai?”

“Sì. I ragazzi vogliono sentire l’odore di qualche lupa. Non vogliono trovarsi una compagna, ma hanno voglia di farsi una scopata.” Ci sono meno di venti membri nel branco di Garrett, tutti giovani lupi indipendenti, come lui. E vivono tutti nello stesso condominio. Una specie di confraternita.

“Lo apprezzo, ma non ce la faccio. Ti manderei Sam, ma gli ho promesso che avremmo corso nella nostra proprietà.”

“Papà dice che sei sempre il benvenuto,” insiste Garrett con tono affabile.

I miei soldi sono i benvenuti. Io sono a malapena tollerato, distaccato anche per un lupo solitario. Sono abbastanza dominante da mantenere il mio territorio, ma questo non significa che voglia un branco. Evito raggruppamenti da quando il mio branco natale mi ha bandito.

“Non ci sono molte femmine single, ma potresti trovarne una che ti piace.”

“Ringrazia tuo padre, ma no grazie. Magari fra qualche anno, se Sam vorrà accoppiarsi.” Non voglio insultare l’alfa di Phoenix, ma preferisco essere schietto. Magari non sarà la mossa più politicamente sensata, ma sono abbastanza grande. La gente si muove in punta di piedi attorno a me.

“Senti, King. Non me ne frega un cazzo se ti trovi una compagna o no. Ovviamente, neanche io ne ho presa una. Ma negli ultimi anni ci sono stati tre maschi che sono impazziti con il mal di luna. È mia responsabilità assicurarmi che tu almeno veda qualche femmina, dato che qua non ce ne sono.”

Quello che intende realmente dire è: Sei un lupo solitario che ha superato i trent’anni, e sei dominante, quindi più suscettibile alla pazzia della luna, a meno che non ti prenda una compagna.

E poi c’è almeno una lupa a Tucson. La bellissima sorella minore di Garrett è una studentessa dell’Università dell’Arizona, ma non posso biasimarlo per averla esclusa dal conteggio. E comunque non mi interessa. Nella mia mente appare l’immagine delle tette da Batgirl di Kylie.

Non è una lupa.

Garrett prosegue. “Io ci porto tutto il mio branco, per dargli almeno la possibilità di scaricare un po’ la tensione.”

“Non pensavo che il gioco delle coppie facesse parte del lavoro di un alfa,” dico, strascicando le parole.

“So che sei un lupo dominante. Senza un branco da condurre, dev’essere da morire riuscire ad assoggettare una lupa.”

Ogni muscolo del mio corpo si tende mentre immagino di assoggettare la mia piccola hacker.

“E poi con i tassi di natalità così bassi tra i mutanti, è un bene per il branco se i più dominanti tra noi si sistemano e fanno cuccioli il prima possibile.” Sembra suo padre. “Perché rimandare?”

Ridacchio. “Dice lo scapolo cronico. Cos’è, tua madre ti ha chiesto dei nipotini e hai deciso di passare a me la patata bollente?”

Un altro alfa qualsiasi potrebbe stizzirsi e offendersi per la mia frecciatina, ma non Garrett.

“Mi hai beccato.” Lo sento sorridere, e la cosa funziona per ammorbidire il mio lupo, che è il primo ad essere irritato da questa conversazione. “Ho immaginato che se trovasse la notizia del tuo matrimonio tra le pagine dei pettegolezzi del mondo mutante, mi lascerebbe in pace.”

“Ora sono dalla tua parte. Ci penserò per la prossima luna. Sam farebbe decisamente bene a trovarsi una fidanzata.”

“Va bene.” Garrett ride. “Ti verremo a cercare. Ci si vede in giro, King.”

“Ancora una cosa, Garrett.” Lascio cadere tutta l’allegria. Con la nuova attrazione che il mio lupo prova per un’umana, improvvisamente non mi sento più così sicuro della mia stabilità. “Se dovessi mai impazzire, promettimi di proteggere Sam. E porta tutto il tuo branco per fermarmi. A qualsiasi costo.”

“A qualsiasi costo,” giura Garrett. Il silenzio cala freddo e serio tra noi. Riagganciamo entrambi senza ulteriori saluti.

Tamburello con le dita sulla scrivania, sentendo quell’avvertimento come un peso nel petto. Garrett ha fatto la cosa giusta, parlando del mal di luna con il maggiore tatto possibile. Mi infastidisce che ci sia stato bisogno di questo promemoria per ritirarmi da Kylie. L’animale dentro di me è pericoloso e sta solo aspettando un momento di debolezza per potersi liberare.

Basta con i test del mio controllo. Basta giochini come quello di oggi. Devo stare alla larga da Kylie. Per il suo bene.

Apro il mio portatile, pronto a immergermi nel lavoro, quando sento la notifica di una chat.

Batgirl4u: Ehilà

Per un secondo trattengo il fiato, pensando di aver finalmente trovato la mia nemica: Catgirl, la hacker che aveva decifrato il mio codice anni fa.

Ma no. È Batgirl, con la B. Ed è nella nostra Intranet, la rete privata che usano i miei dipendenti. Solo che io permetto il collegamento con me solo al mio team esecutivo. Il che significa che sono stato hackerato.

King1: Chi sei? digito, anche se penso di poterlo indovinare.

Batgirl4u: Tu chi pensi che sia?

Scuoto la testa. King1: Bel trucchetto, gattina. Ma se hai il tempo per hackerare il nostro Intranet, dovrò dire a Stu di darti più lavoro.

Batgirl4u: Volevo solo dimostrare il mio valore. Potresti mandarmi quel codice che volevi mostrarmi

Il cursore lampeggia.

Non è una buona idea. Voglio starle alla larga, ma non ne sono capace. Oggi ho avuto un momento di debolezza. Ne ho troppi quando lei è nei paraggi. Che le piaccia o no, sono pericoloso. Letale. Lei pensa che non sia un cattivo.

Si sbaglia.

Spengo il computer. È tempo di andare a fare un’altra corsa.

***

Kylie

Dopo aver aspettato la risposta di King per un’ora, spengo il mio portatile e mi dirigo verso casa. Non avrei dovuto schernirlo così. Mi stavo mettendo in mostra, e se non sto attenta un giorno lui potrebbe collegare i puntini e scoprire che sono Catgirl.

Che uomo irascibile. Un giorno penso che mi piegherà a novanta sulla sua scrivania e mi scoperà fino allo stremo. Il giorno dopo mi caccia dal sul ufficio. Poi torna a flirtare. E poi mi ignora online. Non riesco a capire.

“Benedetto mix di messaggi, Batman,” borbotto mentre mi chiudo la porta di casa alle spalle e mi levo le scarpe con i tacchi. Una cosa è certa: non mi metterò più queste scarpe per lui.

“Memé? Sei a casa?”

Un bigliettino con la scrittura illeggibile della nonna mi dice che ha fatto un salto al supermercato, quindi raccolgo la posta, dove trovo una grossa busta marrone senza indirizzo del mittente. Sollevo il lembo con il pollice e la apro.

Ne viene fuori uno spesso blocco di carte, con una lettera di copertina scritta a macchina.

Oh cazzo.

Il mio cuore smette di battere.

Sappiamo chi sei, Catgirl, e abbiamo le prove per farti rinchiudere.

Per assicurare il nostro silenzio, hai ventiquattr’ore per installare il codice che trovi su questa chiavetta nel drive principale della SeCure.

Se non farai come richiesto, se corromperai in qualsiasi modo il file sulla chiavetta o se parlerai con chiunque di questa faccenda, manderemo questo pacco al tuo nuovo datore di lavoro e all’FBI.

No.

Respiro a fatica mentre sfoglio il resto delle pagine. Ci sono tutte le prove della mia irruzione nel sistema della SeCure anni fa. Come anche carte d’identità e foto di me e i miei genitori con vari travestimenti.

Nessuno con il mio vero nome.

Diavolo, quello l’ho dimenticato pure io.

Mi pulsa la testa e la stanza vortica scomparendo. Qualcuno mi ha trovato. Magari non lui, ma questa è una grossa minaccia.

Prima le cose importanti. C’è niente in questa busta che potrebbe farmi finire in prigione?

Sfoglio ancora le pagine.

No. Ma ce n’è abbastanza per accendere dei campanelli d’allarme. La SeCure mi licenzierà, questo è certo. Perderò la possibilità di lavorare con Jackson King. Non che al momento stiamo lavorando gomito a gomito, ma lo stesso. Addio alla mia occasione di essere normale.

Ma non posso farlo e restare. Se accetto di fare quello che vogliono questi tizi, sarò per sempre la loro troia. La prossima volta mi chiederanno di hackerare la carta di credito. Poi qualcos’altro. Non posso farlo. Devo scomparire. Come ho già fatto un milione di volte prima d’ora.

Entro in camera mia, prendo una valigia dall’armadio e la lancio sul letto. Senza pensare, le mie mani si muovono, ci infilano dentro cose necessarie. Vestiti neri, un paio di ogni cosa. Un semplice necessaire con articoli da toeletta.

Di nuovo in fuga. Per quanto tenti con impegno di scappare dal lascito di Catgirl e dei miei genitori, il passato mi raggiunge sempre.

E Memé? Ci siamo trasferite così tante volte. Non voglio ritrascinarla sulla strada. Questa volta le nostre vite non sono in pericolo. Non è giusto costringerla a fare i bagagli e seguirmi. Posso lasciarla?

È l’unica famiglia che ho. Scaricarla per tenerla al sicuro assomiglia a ciò che mio padre ha fatto a me, quando ha cercato di infilarmi in un collegio dopo la morte della mamma. Io non gliel’ho permesso, e neanche a Memé piacerà essere lasciata qui.

Ok, allora ci trasferiremo entrambe. Memé può fare la zuppa ovunque.

Dobbiamo scappare. Dobbiamo nasconderci. Quali altre scelte abbiamo?

Alla faccia della vita normale.

Apro il mio cassetto. La maglietta da Batgirl mi guarda.

“Non posso,” dico. “Non sono una supereroina.”

Sono decisamente il cattivo, mi ha detto Jackson. Se solo sapesse. Sono la sua arcinemica, con tutta la cattiveria inclusa. Pensavo di essermi liberata della mia vecchia vita. Ho pensato male.

In passato, me la sono cavata in ogni problema – mio o di mio padre – facendo la hacker. Eravamo in questa cosa insieme. Sempre in fuga, ma insieme. Mi sentivo al sicuro. Addirittura potente. Ma il Louvre ha mandato in frantumi quella sicurezza. Pugnalato davanti ai miei occhi, mio padre è scomparso per sempre. Sono quasi morta in quel condotto di ventilazione, soffocata nel mio stesso panico. Poi non mi sono mai più sentita al sicuro nei posti stretti.

Eccetto in quell’ascensore, con King.

Ricordo la pressione delle sue braccia attorno a me, il riflesso della calma innescato. Avevo fatto una breve ricerca tornata a casa. Tutto quello che ho trovato è stato qualche riferimento a posizioni yoga che richiedono la chiusura del mento contro lo sterno per calmarsi.

Le grandi mani di Jackson erano state molto meglio di qualsiasi posa di yoga. Avevano irradiato calore e sicurezza.

Se qualcuno ti importuna, lo voglio sapere.

Non è reale. Non è sicuro. Non posso fidarmi di lui.

E se invece potessi?

Rimetto le carte nella busta, scrivo un veloce biglietto per Memé e corro in camera mia per mettermi addosso dei vestiti diversi prima di poter cambiare idea.

Ho costruito la mia vita sulle bugie.

Forse è ora di provare con la verità.

***

Jackson

La luna brilla, argentata, illuminando il versante della montagna. In genere passo buona parte della notte a correre e cacciare quando la luna è quasi piena così, ma il mio istinto mi ha gridato di tornare presto. Non è stato per la pioggia.

Sam mi insegue, mordicchiandomi le zampe posteriori, ma io mi giro e ringhio al giovane lupo, inducendolo a portarsi la coda tra le gambe e piagnucolare. Non voglio la compagnia di Sam. Non la voglio mai, ma il ragazzo è l’ombra permanente che mi sono scelto io stesso. Quando raggiungiamo il retro della mia proprietà, restiamo entrambi immobili. A causa della pioggia è impossibile sentire odori, ma la frequenza sonora acuta che solo i canidi sono in grado di percepire ci dice che il mio sistema d’allarme è scattato.

Sam ringhia, il labbro superiore che si solleva mostrando le zanne. Scatta in avanti, svoltando l’angolo.

Io volo dentro, passando per la porta sul retro, per controllare l’interno. Non sento nessun odore insolito. Mi tramuto e mi getto addosso dei vestiti mentre corro alla sala di controllo per dare un’occhiata al registro del sistema di sicurezza.

Fuori dalla recinzione di ferro davanti alla mia proprietà è appoggiata una bicicletta, e una piccola figura scura sta camminando verso la porta, sotto alla pioggia. Un ringhio riverbera sommesso nella mia gola.

Ma chi diavolo?

Sam arriva a piena velocità, le zanne scintillanti, e salta in aria, le zampe anteriori che vanno a sbattere contro le spalle dell’intruso, sbattendolo – o sbattendola – a terra.

Prendi questo, figlio di puttana.

Furia oscura nelle vene, lascio la sala di controllo per affrontare il malgradito ospite. Scendo di corsa i gradini scivolosi e cammino sul ghiaino zuppo di pioggia.

“Buono, Cujo.” Il suono tremante della sua voce ha su di me l’effetto di uno shock.

Kylie.

Un fremito di paura mi attraversa il corpo. “Via. Stai indietro,” dico con tono secco.

Sam non si muove. Il suo lupo non cede alla ragione umana, il suo istinto di proteggere e difendere la sua casa è troppo forte. Grazie al cielo Sam non le ha lacerato le carni.

La mia piccola hacker è furba: se ne sta perfettamente immobile sotto a Sam.

Io afferro il mio fratello di branco per la collottola e lo tiro indietro. “Ho detto via.”

Sam scuote la testa e infila la coda tra le gambe sentendo il tono arrabbiato del suo alfa. Fa un paio di passi indietro.

Io guardo la nostra intrusa. Anche bagnata fradicia, con addosso felpa e jeans, è bellissima. È distesa nel fango e non sembra neanche un po’ spaventata quanto dovrebbe.

“Cosa diavolo ci fai qui?”

Lei sbuffa e fa per muoversi, ma sussulta, portandosi la mano alla nuca.

Ecco, dannazione. Una bella pietra è proprio lì vicino a lei. Deve averci sbattuto sopra la testa quando Sam l’ha fatta cadere.

“Dovevo parlarti,” dice con voce roca.

Fosse chiunque altro, la lascerei parlare proprio lì, mentre se ne sta sdraiata supina ai miei piedi. Ma non Kylie. Quel nuovo strano e solleticante calore ha il sopravvento e mi grida di proteggerla. Da Sam, dalla pioggia, dalla pietra, da me stesso.

La sollevo da terra e la aiuto a mettersi in piedi, dimenticando di fare finta che sia pesante.

Lei ruota gli occhi, barcolla, come se muoversi le provocasse dolore alla testa. “Ugh. Wow.”

Le metto una mano sulla nuca e tasto con le dita fino a che non trovo il bozzo che si sta gonfiando come un uovo d’oca.

Lei sussulta quando lo tocco.

“Sei ferita.” Mi volto e lanciò un’occhiataccia a Sam, che abbassa la testa.

Anche lei dà un’occhiata al mio coinquilino. “Meno male che eri nei paraggi, sennò penso che Cujo mi avrebbe mangiato. Ma è un cane?”

“È mezzo lupo.”

“Mezzo lupo e mezzo cosa? Gargoyle?”

Freno un sorriso. Adoro la sua capacità di tirare fuori quella secca ironia anche se è ferita. Ma del resto è il suo meccanismo di difesa di default, come ho imparato nell’ascensore.

La osservo. Dovrei chiamare la polizia, o in qualche modo spaventarla per dirle che deve rispettare i miei confini. “Hai intenzione di raccontarmi perché diavolo hai fatto irruzione in casa mia?”

Lei ruota gli occhi. “Per favore, se avessi voluto fare irruzione a casa tua, non sarei passata sui sensori laser per annunciare la mia presenza. Perdonami, ma qua fuori non ho visto il campanello.”

Quale donna conosce i sistemi di sicurezza al laser? E non grida quando un lupo gigante la blocca a terra?

“Non ricordo di averti invitata. E come diavolo hai fatto a trovarmi?”

“Sono una hacker, ricordi?”

“O una stalker?”

“Stessa cosa.” Porta la mano davanti, sulla felpa, e sento un fruscio di carte. “Ho una cosa da farti vedere. Non potevo aspettare fino a domani.”

Le prendo il gomito e la conduco su per i gradini scivolosi rivestiti di piastrelle in stile italiano, fino all’interno della villa. Kylie si muove rigidamente, come se non avesse solo la testa dolorante dopo l’attacco di Sam. Questo non le impedisce di guardarsi intorno in casa mia mentre la accompagno fino al bagno degli ospiti al secondo piano. In qualche modo dubito che le sia sfuggito un solo particolare. Ma perché è qui, realmente?

La faccio passare attraverso la porta del bagno. Volevo prenderle un asciugamano e lasciarla lì a darsi una rinfrescata, ma mi trovo ad afferrare il bordo della sua felpa fradicia.

“Cosa stai facendo?”

Tiro verso l’alto la stoffa. “Ti tiro fuori da questi abiti bagnati.”

Le sue guance si fanno più colorite e gli occhi le brillano. Ciocche dei suoi capelli castani le stanno appiccicate a guance e collo. Una goccia di pioggia le scorre lungo la gola. Vorrei leccargliela via.

Lei rilassa le braccia e segue il movimento della felpa, permettendomi di sfilargliela dalla testa, senza protestare.

Sento l’uccello che pulsa dolorosamente contro la cerniera dei pantaloni quando scorgo la sua pelle. Insieme alla felpa le tolgo la canotta, e lei resta davanti a me con nient’altro addosso che un reggiseno di pizzo rosso e i jeans.

Ha il petto ansimante e tiene lo sguardo fisso sul mio volto, come a voler vedere cosa farò adesso.

Cosa farò?

So quello che voglio fare. Voglio tirarle giù quei jeans zuppi e attillati e piegarla contro il mobile del bagno. Voglio prenderla da dietro, come voglio anche entrare in quella sua testolina da volpe e scoprire cosa la rende una femmina così unica. E dannazione, sì, voglio affondare le mie zanne rivestite di siero nella sua carne e marchiarla per sempre come mia.

Cosa che non può accadere.

Lascio cadere la felpa sul pavimento e sento ancora il fruscio della carta.

L’attenzione di Kylie scatta all’indumento abbandonato e lei si lancia a prenderlo, interrompendo il nostro contatto visivo. Incastrata tra felpa e canotta si trova una busta marrone che lei recupera e si stringe al petto, coprendo quelle tette meravigliose.

Si lecca le labbra secche. “Signor King, prima di condividere questa cosa con te, voglio solo dirti che quando ho fatto quello che ho fatto ero una ragazzina impudente che voleva provare a se stessa e al mondo degli hacker quanto valeva. Non ho mai preso i numeri delle carte di credito di nessuno e non ho mai venduto alcuna informazione. È stata semplicemente una…”

La verità mi colpisce come un pugno allo stomaco. “Catgirl.”

Ovviamente lei è la fottuta Catgirl. L’unica persona che abbia mai hackerato il mio codice. Non c’è da stupirsi che fosse nervosa di fare un colloquio alla SeCure. A che razza di gioco sta giocando, presentandosi nella mia sede legale e a casa mia, cazzo?

L’unica falla nella sicurezza che mi ossessiona da otto anni adesso mi è stata spifferata in faccia. Di nuovo.

Le strappo la busta dalle mani e ne getto il contenuto sul ripiano del bagno.

“Mi spiace.” La sua voce suona piccola.

Dannazione.

Odio sentirla così annichilita, anche se sono un alfa naturale che richiede sottomissione a tutti. Anche se sono incazzato nero con lei.

“Che cazzo è ‘sta roba?”

Sfoglio la pila di carte e leggo quella sopra a tutte. No, merda. La rabbia si acumina trasformandosi in un più letale senso di consapevolezza.

Ricatto.

Qualcuno vuole sabotare la SeCure.

O si tratta forse di un giochino elaborato escogitato da Catgirl? Perché una brillante come lei potrebbe aver messo in atto una qualsiasi strategia invisibile qui.

L’atteggiamento della ragazza e il mio giudizio su di lei sono stati annebbiati dalla mia lussuria.

Lei è lì, perfettamente ferma, le piccole mani strette in due pugni. “Mi spiace,” ripete.

Sbatto le carte sul mobile. “Ma che cazzo? Cosa vuoi? Perché sei qui, veramente?”

Odio vedere le lacrime che le riempiono gli occhi, ma trattengo con fermezza il mio istinto di tirarla a me o massacrare i suoi avversari. Non mi posso fidare di un tale istinto.

Lei scuote la testa. “Niente. Non voglio niente.” La sua voce vacilla sulla prima parola, ma poi riprende subito il controllo. “Ho solo pensato che se avessi confessato, questi cialtroni avrebbero perso alcun modo per fare leva su di me. Non voglio mettermi a negoziare con i terroristi, chiaro?

“Ti ho appena offerto tutte le informazioni che ti servono per andare all’FBI e aprire un caso contro di me. Ovviamente spero che ti accontenterai delle mie dimissioni.”

“No,” ringhio, sorprendendo me stesso e parlando prima di sapere cosa sto per dire.

Ma non la lascerò andare così facilmente. Nel mio mondo – nella comunità dei mutanti – le trasgressioni sono gestite prendendole per le corna. Non si risolvono con poliziotti o dimissioni. La punizione è repentina, solitamente fisica. O altrimenti viene richiesta o offerta – e accettata – una ricompensa.

Lei sussulta e le sue spalle esili si chiudono. “Cosa intendi fare?” Ha la voce roca.

Il sangue mi ribolle dentro e l’uccello mi si gonfia al pensiero di darle una lezione. Con fermezza. Abbasso la voce a un livello pericoloso. “Tu cosa pensi che dovrei fare?”

“Beh…” si lecca le labbra carnose e il volto le si accende di nuovo. “Se io fossi in te, vorrei prendere questi figli di puttana. Quindi magari mi terrei come esca.”

Dannazione, quasi mi fido di lei. Un errore enorme.

“Sai, monitorarmi da vicino per essere sicuro che non sgarri, ma aspettare per vedere chi mi contatta e mettere fine a questa gente.”

Sì, monitorarti da vicino.

Monitorare il modo in cui le coppe di quel reggiseno di pizzo rosso le tengono su i seni sodi. Monitorare l’odore della sua eccitazione, la forma cangiante di quella bocca sensuale. Labbra da baciare. “Capisco. E come dovrei punire la tua precedente mala condotta?” La mia voce è decisamente profonda e roca. Se non sa quello che sto pensando, allora è una totale innocente.

Ma dilata gli occhi, i capezzoli premono contro la stoffa del reggiseno. Proprio così, bambola.

“Nessuna pietà per la gattina?” Perde il fiato sulla parola gattina, facendola suonare venti volte più sexy.

“Giusto.” La faccio ruotare e la piego contro il mobile del bagno. Prima ancora che la mia mente possa registrare il mio piano, la mia mano colpisce la tasca bagnata dei suoi jeans. Lo schiocco è forte, soddisfacente a tutti i livelli. Mi si rizza l’uccello sentendola sussultare.

Kylie tira indietro la testa, si guarda oltre la spalla, i denti scoperti. Le piace. Un sacco, a giudicare dall’odore della sua eccitazione.

Schiaffeggio l’altra natica, più forte.

Cazzo, voglio tirarle giù questi jeans bagnati, vedere di che colore ha le mutandine e poi strapparle di dosso anche quelle. Ma se le vedo il culo nudo, non potrò più tenere a freno la bestia. Anche questo leggero contatto attraverso i vestiti mi fa diventare più duro di una fottuta roccia e i denti mi si allungano.

Dato che non si è spaventata, continuo a sculacciarla: schiaffi ben assestati che riverberano contro le piastrelle italiane. “Mi hai hackerato, Catgirl?” La colpisco ancora e ancora. “Quanti anni avevi, dodici?”

“Quindici,” dice ansimando. “Non ho mai preso niente, lo giuro… oh.”

L’ultimo verso che le esce dalle labbra risuona troppo come se la stessi scopando invece di sculacciarla e la mia vista si fissa, il mio lupo mi graffia dentro perché vuole prendere il comando.

Smetto si sculacciarla, sforzandomi di rallentare il mio respiro. Tengo la mano sul suo culo perché, beh, il pensiero di non toccarla mi uccide. “Volevi solo vedere se ne eri capace, piccola?” Adesso che è stato rivelato, il fatto che lei sia Catgirl mi eccita ancora di più. Questa ragazza mi ha hackerato da adolescente. È un fottuto genio, e io vado in estasi per il suo cervello quanto per il suo corpicino sexy.

I miei occhi incontrano i suoi nel riflesso dello specchio. Ha il volto arrosato, gli occhi dilatati e lucidi. Porto una mano davanti e le prendo il seno destro, stringendo e tirandola indietro contro il mio petto.

“Cattiva ragazza,” le sussurro nell’orecchio, e lei si lascia sfuggire un graziosissimo e delicato gemito.

Devo scoparla. Adesso come adesso, penso che morirò se non le infilo dentro l’uccello. Ho bisogno di possederla del tutto. Punirla con la più rude scopata della sua vita, fino a farle gridare il mio nome e farle capire che sono l’unico maschio che potrà mai codificare il suo fottuto codice. Poi ricomincerò da capo, lentamente. Le leccherò via il dolore. La farò venire e rivenire, fino alle lacrime.

Ma non mi fido del mio autocontrollo vicino a lei, quindi decido di ruotarla di nuovo, sollevandola per la vita e mettendola seduta sul bancone. “Ti è piaciuta la tua sculacciata, bambola?”

“S-sì.”

Adoro la sua onestà. Le apro le ginocchia e metto il pollice sulla cucitura dei suoi jeans, proprio sopra al suo sesso.

Le si inarca verso di me e mi prende le spalle, lasciando cadere la testa indietro. “Jackson…” sussurra.

Premo contro la piega dura dei pantaloni, strofinandole il clitoride.

Lei sobbalza e si lascia scappare un gemito di desiderio. Le sue dita scendono sulle mie mani, incitandomi a darle di più.

Le mie facoltà mentali mi scivolano via. Apro il bottone dei suoi jeans e abbasso la cerniera, aprendo i due lembi.

Mutandine abbinate. Pizzo rosso, come il reggiseno. Lo sapevo.

La mia soddisfazione ha vita breve perché una tempesta di rabbia mi ribolle dentro. “Chi ti ha vista con queste addosso, bambola?”

“Co-cosa?”

“Chi ti ha visto con queste mutandine fottutamente graziose?” Mi metto dritto davanti alla sua faccia, mostrando i denti. “Per chi te le metti?”

Lei spinge contro le mie spalle, ma ovviamente non mi muovo di un millimetro. Forza di femmina umana contro maschio alfa mutante? Non c’è confronto. “Che sta succedendo, Jackson?” C’è paura vera nei suoi occhi, e la cosa mi ammazza come un proiettile. La mia rabbia fulminea evapora, sostituita dal bisogno di curare e proteggere la mia femmina.

Merda. La considero già la mia femmina.

Appoggio la fronte contro la sua. “Scusa,” mormoro. “È sbagliato voler ammazzare il tipo per cui hai comprato queste?”

Lei si lascia andare a una tremula risata. “Tu sei matto.”

Dato che sono un cocciuto bastardo, aspetto, sempre esigendo una risposta alla mia domanda.

“Non le ha viste nessuno,” mormora.

Oh diamine, sta arrossendo? Che possa essere più innocente di quanto pensassi?

Mi spinge ancora, ma io sono fermo al mio scopo originale. Con un braccio le cingo la vita, la tiro via dal bancone facendola alzare in piedi e infilo le dita sotto a pantaloni e mutandine.

Cazzo, sì.

Il calore umido del suo sesso mi bagna le dita, dandomi una tale scossa di desiderio che sono costretto a inspirare con forza.

“Jackson.”

“Sì.” Può chiamare il mio nome con quella voce roca tutte le volte che vuole.

Massaggio con il dito medio la sua fessura gocciolante, inumidendo il bocciolo gonfio del suo clitoride.

Sto ancora meditando sul suo rossore. È imbarazzata perché non è stata con nessuno di recente? Considerato il modo in cui si tiene stretta al mio collo e geme nel momento in cui tocco la sua fica perfetta, penso che sia una netta possibilità.

Un ridicolo orgoglio maschile mi si gonfia dentro. Sarò io quello che avrà il privilegio di soddisfarla. Mi sforzo di rallentare mentre disegno dei cerchi attorno al suo clitoride, la mano libera che passa dietro di lei e le afferra il sedere, spingendola per portare il suo pube più vicino a me

Lei si struscia contro il mio dito.

“Ingorda,” mormorò. Se le avessi tolto le mutandine, le sculaccerei anche in mezzo alle gambe, ma c’è poco spazio.

Il suo respiro si fa più ansimante mentre infilo un dito nel suo stretto canale. Continuo a lavorarle il clitoride con la base del palmo.

Lei si alza in punta di piedi e pianta le unghie dietro al mio collo, graffiandomi proprio come una femmina mutante fa con il suo maschio. Sento i denti che si fanno più affilati in bocca e tengo le labbra serrate per impedirmi di marchiarla.

Oscilla il bacino avanti a indietro, dando dei colpi bramosi.

Le infilo dentro un secondo dito. “Sei. Dannatamente. Stretta.”

Lei si irrigidisce leggermente, anche se lo intendevo come un complimento, ma accarezzo la parete interna e arrivo a toccare il suo punto G.

I suoi muscoli si strizzano e lei si bagna ancora di più. “Cazzo… no… cioè, sì. Oh, ti prego!” Sta appesa al mio collo, i suoi seni premuti contro di me mentre scuote le anche sbattendo contro le mie dita.

Mi sento come un lupo in piena pubertà, pronto a venirmi nei pantaloni. Ma questo è per lei, non per me. Spingo le dita dentro e fuori, le mie nocche pompano con forza fino a che lei lancia un gemito più forte e stringe le cosce. I suoi muscoli interni si contraggono e viene sulle mie dita nella dimostrazione di orgasmo femminile più sexy che abbia mai visto.

Sono stato io. Il mio lupo sorride soddisfatto.

Quando il suo orgasmo si placa, libero le dita e mi impossesso della sua bocca, aprendole le labbra con la lingua. Metto una mano dietro alla sua nuca per tenerla ferma e fare razzia, ordinandole di sottomettersi.

Lei obbedisce. Apre la bocca per me, preme il suo corpo mozzafiato contro il mio, risponde al mio bacio.

Dannazione.

Con grande sforzo, interrompo il bacio.

Lei mi scruta, meravigliosamente scompigliata dalla pioggia e dal mio assalto. “Significa che siamo pari?” sembra essere senza fiato.

“Neanche un po’, bambola. Sei in debito con me, e intendo riscuotere.”

Il suo sguardo scende sul mio membro rigido. “Come?” Non aspetta la risposta, ma scende e si inginocchia.

Lo scricchiolio di una tavola in corridoio mi fa imprecare tacitamente. La ritiro su prima che iniziamo a dare spettacolo davanti a Sam. Perché diavolo non ho chiuso la porta del bagno?

Anche se il rumore è tanto basso che pensavo le fosse sfuggito, Kylie sobbalza, allungando il collo per vedere oltre le mie spalle. Ogni cellula del mio corpo grida ordinandomi di prendere la maniglia, chiudere la porta e dirle di continuare.

Ma no, Kylie è umana. Ed è una mia dipendente. Perché la terrò, in modo da poterla sorvegliare.

Tieniti vicini i tuoi nemici.

Sono già andato troppo oltre con lei. Ancora un passo e la marchierò. E poi avrò un mondo di altri problemi per le mani.

Costringendomi a trattenermi, tiro fuori un asciugamano pulito dall’armadio e glielo lancio. “Vai in doccia e scaldati. Vado a cercarti dei vestiti asciutti.”

La faccio ruotare e la spingo verso la cabina della doccia, schiaffandole un’altra sculacciata su quel perfetto culo a forma di cuore.

Lei emette un leggero mugolio che le sale dalla gola e si guarda alle spalle, eccitata.

Io reprimo un gemito a mia volta. Mi ci vuole tutta la mia forza di volontà per girarmi e uscire, chiudendo la porta dietro di me.

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