A. Duncan
BEXLEY
Treyton viene a prendermi dal nonno la mattina dopo, proponendomi di andare a fare colazione insieme.
Mi presenta nuovamente a tutti i clienti della tavola calda. Stringo decine di mani e ricevo orde di soliti "bentornata". Sembrano tutti abbastanza amichevoli, ma sono gli sguardi, i sorrisi e le occhiate a mettermi a disagio.
Una volta finita la colazione, ricevo gli stessi sguardi inquietanti passeggiando per i quartieri e i negozi della città. Inoltre, mi viene posta sempre la stessa domanda: "Rimarrai qui per sempre? Perché la città ha bisogno di una persona come te".
Che cosa significa? Come potrei mai essere utile a una città come questa? Sono un'avvocata, ma davvero questo posto è così pieno di attività criminali da aver bisogno dei miei servizi legali? Sono cresciuta qui, e io la ricordo come una cittadina sicura.
Stringo così tante mani che credo mi stia venendo il tunnel carpale. Forse è perché sono tutti molto amichevoli, ma la mia formazione giuridica mi ha insegnato il contrario. Se sembra una puzzola e puzza come una puzzola, allora, molto probabilmente, è una puzzola.
Nel frattempo, la vicinanza a Treyton è per metà snervante e per metà calmante; un connubio che non ha alcun senso per me. È come se lo conoscessi da sempre, ma una parte di me è nervosa perché mi sembra che abbia delle aspettative di cui non so nulla. Ho bisogno che la gente smetta di guardarmi come se sapesse qualcosa che io non so e mi dica semplicemente cosa diavolo gli passa per la testa.
L'unica cosa che apprezzo veramente è la mano di Treyton sulla mia schiena; è rimasta lì tutto il giorno. Ogni volta che ci spostiamo da un posto all'altro o incontriamo qualcun altro, quella mano calda formicola su di me. Mi fa venire voglia di appoggiarmi ancora di più al suo palmo e di respirare il suo odore di agrumi e di pino, profumi che non credevo potessero andare d'accordo, ma che su Treyton mi provocano le farfalle nello stomaco.
Dopo qualche ora, torniamo alla tavola calda dove abbiamo fatto colazione stamattina e Treyton mi apre la portiera del lato passeggero del suo furgone. Salgo a bordo e lui mi fa sapere che tornerà tra poco; deve prendere qualcosa per il viaggio. Quale viaggio? Torna dopo qualche minuto con un grosso cesto tra le braccia. Lo posa sul sedile posteriore, dopodiché sale a bordo dell'auto.
"Sei pronta?"
"Ti prego, dimmi che non ci sono altre mani da stringere".
Treyton si mette a ridere, e quel vibrato profondo mi fa formicolare la pelle.
"Per ora abbiamo finito. Forse ci è sfuggito qualcuno, ma il più è fatto".
"Ok, allora dove andiamo?"
"È una sorpresa".
Inarco un sopracciglio, perplessa.
"Non mi piacciono le sorprese, Treyton".
Lui chiude gli occhi e ride.
"Mi piace sentirti pronunciare il mio nome. Questa sorpresa ti piacerà. Impara a vivere un po', Bexley. Goditi la vita come viene e smetti di pensare così tanto".
Santo cielo… se lo facessi, godrei più che a pronunciare il suo nome.
"D'accordo, andiamo".
Dopo circa venti minuti arriviamo in quella che mi sembra essere solo un'enorme distesa di alberi. Fantastico, è qui che mi ucciderà, mi farà a pezzettini e li getterà nel cestino. Eccomi qui, intenta a sbavare su un serial killer sexy. Brava, Bexley.
"Andiamo, non è lontano".
"È qui che hai intenzione di uccidermi?"
Treyton ride di gusto e quasi fa cadere il cesto che ha in mano.
"Ucciderti? Probabilmente ne sarei in grado, ma non nel modo in cui pensi tu".
Cosa? Che diavolo significa?
"Attenta a dove metti i piedi. Ci sono molti rami e radici in cui potresti inciampare, e non posso permettere che tu ti faccia male".
"Sei protettivo nei miei confronti, vero?"
"Non hai idea di quanto".
Ma perché tutti, qui, parlano per enigmi? Ne ho abbastanza. Camminiamo per un breve tratto tra gli alberi, finché non iniziano a diradarsi. Sento un suono simile a quello dell'acqua, e poco dopo la vedo. Non appena raggiungiamo un'apertura tra gli alberi, scorgo il più bel laghetto con tanto di piccola cascata fumante che si riversa sulla scogliera sovrastante.
"Oh, mio Dio! È una sorgente termale?"
"Sì".
"È bellissima".
"Sì, lo so".
Continua a fissarmi finché non si rende conto di quello che sta facendo e si schiarisce la gola.
"Lasciami stendere una coperta, così ci sediamo. Ho portato anche il pranzo".
La posiziona sul bordo del laghetto, lungo l'area erbosa, e tira fuori il nostro pranzo a base di panini, patatine, torta e limonata.
"Ho pensato che dopo aver attraversato la città e parlato con tante persone, ti saresti voluta godere un po' di pace".
"È perfetto, Treyton".
Lo sento ringhiare, così sposto lo sguardo su di lui e vedo che ha gli occhi chiusi.
"Stai bene?"
"Sì, sentirti pronunciare il mio nome mi fa un certo effetto".
"Davvero?"
Rivolge i suoi bellissimi occhi verdi e cristallini nella mia direzione.
"Sì, davvero".
Con la coda dell'occhio vedo qualcosa di bianco e peloso. È un animale selvatico? Sono una ragazza di città… Non so come comportarmi in queste situazioni. Sussulto e per poco non finisco in braccio a Treyton.
"Porca miseria, cos'era?"
Lui mi cinge i fianchi con le mani e mi tiene stretta per le spalle. Emette una risatina leggera, un suono che mi mette in agitazione lo stomaco, dopodiché si tira un po' indietro e sono quasi sicura di sentirlo annusare il mio collo. Ma prima che possa pensarci troppo, ricomincia a parlare con quella voce profonda e baritonale che ho imparato a riconoscere: "Era solo un coniglietto".
Sì, sono spacciata. Sento la punta del suo naso che scivola sulla pelle del collo, inalando il mio profumo. Solleva una mano per accarezzarmi la guancia, e ora tocca a me chiudere gli occhi. Non capisco bene il perché delle scintille che scoccano ogni volta che ci tocchiamo, ma comincia a piacermi.
"Posso baciarti, Bexley?"
Accidenti, certo che sì.
Apro gli occhi. Per qualche motivo, la voce mi abbandona completamente. Non riesco a dire nulla, quindi mi limito ad annuire. Lui abbassa lentamente il viso verso il mio e sento il suo respiro caldo sulla pelle. Strofina il naso sul mio, per poi passare alle labbra. Si ritrae leggermente e io apro gli occhi: lo vedo intento a fissarmi. Rimaniamo in silenzio, dopodiché lui si avvicina nuovamente alle mie labbra e… oh, mio Dio, le scintille diventano elettriche. Treyton mi lecca il labbro inferiore, cercando di farsi spazio, e io le schiudo senza esitare.
Non appena sento la sua lingua, percepisco le scintille attraversarmi da capo a piedi, e non posso fare a meno di gemere nella sua bocca. Sento la sua mano sulla nuca, impigliata nei capelli. L'altra sta scivolando lungo la mia schiena e mi tira più vicino. Le mie mani si sono in qualche modo aggrappate alla sua camicia; forse per resistergli o per tirarlo il più vicino possibile a me, non ne sono sicura.
Ci stacchiamo per riprendere fiato e Treyton appoggia la fronte alla mia.
"Maledizione, Bexley".
"Già".
All'improvviso, si irrigidisce e si volta. Seguo il suo sguardo fino alla cima della cascata, dove si trova quello che, dall'aspetto, sembra un enorme lupo. Ha un manto rossastro e i suoi occhi scuri sembrano osservarci.
Mi immobilizzò contro Treyton e sussulto. Vengo invasa dalla paura. Mi sono spaventata alla vista di un coniglietto innocuo, e ora ho davanti un animale che potrebbe mangiarmi viva come spuntino. Anche da questa distanza, riesco a vedere la bava colare da quei denti affilati. Non sono più in città, questo è poco ma sicuro. Comincio anche a pensare che, forse, venire qui è stato un errore.
"Bexley, devi tornare al camion".
"Pensi che ci farà del male?"
"Di sicuro non ha l'aspetto amichevole. Ora, per favore, fa' come ti dico. Ho bisogno che tu sia al sicuro".
"E tu?"
"Vado a… spaventarlo. Vai, Bexley. Ecco le chiavi. Chiuditi dentro".
Senza pensarci due volte, corro attraverso il bosco, fino al furgone. Per fortuna non è così lontano, ma inciampo su un tronco e mi taglio un ginocchio. Senza curarmi della gravità della ferita, arrivo al furgone, entro e chiudo le portiere.
Il silenzio e la sicurezza dell'abitacolo mi fanno sentire in colpa. E Treyton? Forse devo tornare indietro. Voglio dire, e se si facesse male? Non è possibile che affronti da solo quell'enorme lupo. Devo assicurarmi che stia bene; la mia paura ora ha un incipit completamente diverso. Sono preoccupata per l'incolumità dell'uomo che ho lasciato.
Mi accorgo che il ginocchio comincia a farmi male e a bruciare. C'è del sangue, quindi cerco rapidamente un fazzoletto o qualcosa che possa fermare il flusso. Apro la console centrale e trovo della vecchia posta indirizzata ad "alfa Creed". Alfa Creed? Ma che diavolo?
Un colpo al finestrino mi fa sussultare. Apro la portiera a Treyton e lui sale a bordo dell'auto.
"Cosa ti è successo al ginocchio?"
"Sono caduta mentre correvo verso il furgone. Ora stavo cercando qualcosa per tamponare la ferita".
"Tieni, ci sono dei tovaglioli nel cesto".
Mi rendo conto che ha ripulito il nostro picnic e ha riportato tutto con sé. Lo guardo mentre mi tampona il ginocchio per fermare il sangue, e decido di parlare.
"Treyton?"
"Sì?"
"Chi è alfa Creed?"
Lui si ferma.
"È il tuo soprannome?"
Silenzio.
"Alfa Creed~…~ Ti fa sembrare una specie di capobranco o qualcosa del genere", continuai a dire tra le risate.