Il calore - Copertina

Il calore

Raven Flanagan

5: Capitolo 5

RIVER

Mentre ero sotto la doccia, i miei zii uscirono di casa. Sapevo che la zia avrebbe aiutato con i contorni e che Dale sarebbe stato lì per darle una mano con qualsiasi altra cosa.

Non tutti avevano la fortuna di avere un compagno così devoto. A volte te ne capitava uno per bene, altre no.

Mi sfregai il segno sul collo. Non si vedeva quasi più, e io ne ero contenta. Ogni giorno si sbiadiva sempre di più. Desideravo che anche i ricordi facessero lo stesso.

Arlene mi aveva lasciato una tazza di caffè sul tavolino e un prendisole rosa pallido sul letto degli ospiti. Il prendisole rimaneva aderente sulla mia corporatura più formosa, ma mi stava comunque bene. Il suo colore chiaro si sposava bene con la mia pelle dorata e i miei capelli biondo fragola. Era semplice e perfetto per un barbecue informale in piena primavera.

Nonostante ciò che era successo la sera prima e la possibilità di rivedere l'uomo misterioso, non vedevo l'ora di passare del tempo con la mia famiglia. Erano secoli che non trascorrevo del tempo di qualità con loro e non vedevo l'ora di rilassarmi e di parlare un po'.

Mentre stavo per uscire dalla stanza degli ospiti, mi soffermai sullo specchio dietro la porta. Senza volerlo, passai le dita sulle tre cicatrici che avevo sopra l'occhio. Alcune cose avevano bisogno di tempo per guarire, ma non pensavo che quelle sarebbero mai sparite.

"Va bene, andiamo!" Esclamò Arlene mentre scendevo le scale. Feci un respiro profondo e la seguii fuori dalla porta d'ingresso. Per poco non si mise a saltellare per l'eccitazione mentre camminavamo lungo la strada verso la casa del branco.

Nel mio branco non si organizzavano barbecue come quello. Nel cortile della casa erano stati allestiti diversi affumicatori e griglie uno accanto all'altro e gli odori che sprigionavano mi fecero venire l'acquolina in bocca.

Alcuni lupi stavano allestendo dei tavoli con sedie vicino a un lungo buffet pieno di contorni, e in tutto il giardino c'era il solito trambusto di quando si dovevano affrontare i preparativi per una folla tanto numerosa.

"Vieni a conoscere alcuni dei miei amici e a prendere un drink". Arlene mi spinse verso un gruppo che stava preparando la base per un falò da accendere al tramonto. Prendemmo un paio di sidri da una borsa frigo lungo la strada.

Per quanto non volessi, continuavo a guardarmi alle spalle a ogni uomo che passava, chiedendomi se avrei mai rivisto il maschio misterioso. Era già lì, da qualche parte tra la folla?

"Ehi, ragazzi! Questa è mia cugina River. Alcuni di voi l'avranno già conosciuta. Da piccola veniva a trovarci durante l'estate". La personalità spumeggiante di Arlene prese vita mentre ci univamo al gruppo.

Le mie dita si strinsero intorno alla bottiglia fredda che avevo tra le mani. "Ciao". Accompagnai il mio debole saluto con un sorriso.

"Non preoccuparti, sono tutti innocui", mi sussurrò Arlene all'orecchio. Anche se cercavo di nasconderlo, lei si era resa conto di quanto fossi sopraffatta da tutte quelle persone, ma la sua presenza al mio fianco era rassicurante e contribuiva ad alleviare la tensione che mi attanagliava.

Dopo circa mezz'ora e un paio di drink, mi sentivo di nuovo quasi normale, ma la pesante ombra del passato aleggiava appena sopra le mie spalle. Sebbene mi rilassassi, ridessi e mi confondessi con gli amici di Arlene, non riuscivo a liberarmi della voce delle tenebre che riecheggiava nella mia testa.

Mi avrebbe trovata? Cosa avrebbe fatto in quel caso? Mi aveva detto che mi meritavo quello che avevo avuto l'ultima volta, ma scappare era molto peggio, soprattutto perché significava allontanarmi da lui.

Il suono di una risata riportò la mia attenzione su Arlene e gli altri. Ne emisi una forzata anche io, anche se non avevo sentito quello che era stato detto.

Il passato era alle mie spalle. Lui era ormai alle mie spalle. Ma dovevo accettare che sarebbe stato sempre con me ogni volta che vedevo le mie cicatrici sopra l'occhio.

Prima che riuscissi ad accorgermene, il falò si era animato e qualcuno suonò una campana per segnalare che il cibo era pronto.

"Oh, guardate ragazzi, l'alfa è finalmente arrivato. Si è seduto!" Sussurrò Arlene al nostro gruppo mentre aspettavamo in fila per prendere un po' di carne affumicata.

Girai la testa nella direzione in cui guardavano tutti, ma c'erano troppe persone intorno all'alfa perché potessi vedere che aspetto avesse. Tuttavia, non mi preoccupai troppo di lui. I miei pensieri erano rivolti a un solo uomo.

Prendemmo i nostri piatti pieni di carne e di tutte le fritture possibili e ci sedemmo a tavola. Tutti parlavano allegramente e per un attimo mi persi nel gusto di tutto quel cibo delizioso e della buona compagnia.

All'improvviso, sentii quel brivido che si provava quando qualcuno ti stava indubbiamente osservando. Si insinuò lungo la spina dorsale e risvegliò ogni terminazione nervosa del mio corpo, mettendomi in allarme. Chiusi gli occhi e mi morsi il labbro inferiore, decisa a non guardare nella direzione da cui sentivo provenire lo sguardo.

La mia determinazione non durò a lungo. La curiosità ebbe la meglio su di me e i miei occhi si spostarono lungo il tavolo stracolmo fino all'uomo imponente seduto sulla sedia dell'alfa.

Due occhi marroni come il whisky mi fissarono e il mio cuore smise di battere. Sentii la forchetta scivolarmi via dalle dita e m'immobilizzai.

Non riuscivo a respirare.

Quando lo guardai, ricordai la sensazione delle sue labbra sulla mia pelle come se fossero ancora su di me. Il dolore tra le mie gambe divenne un pulsare sordo mentre i nostri sguardi si incrociarono senza vacillare mai.

Mi sentii di nuovo febbricitante sotto il suo sguardo scuro.

L'alfa. Era stato l'alfa.

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